lunedì 14 marzo 2011

Stagioni diverse

Febbraio 2011
Circa l'una di notte, sulle labbra il sapore dell'unico bicchiere di liquore bevuto quella sera, eppure sento l'effetto dell'alcool nelle gambe e nelle braccia. L'auto percorre la tangenziale soprelevata a nord della città, sotto una pioggia sottile, quasi invisibile, che si trasfroma in nebbia quando si infrange sul cofano. L'autoradio è spenta, si sente solo il rumore del motore e quello dell'acqua schiacciata dai pneumatici.
Socchiudo il finestrino per sentire il profumo dell'aria bagnata, ma è satura di idrocarburi del petrolchimico. Non mi abituerò mai a questo puzzo, a questi veleni.
Sotto di me, quello che resta del quartiere artigianale, adesso ridotto a un semideserto di capannoni chiusi, con le erbacce che crescono nei piazzali e le insegne scolorite. Alla mia destra, male illuminato da quei pochi lampioni che ancora funzionano, un grosso edificio cubico, nero e lucido sotto la pioggia che cade sulle vetrate di quelli che pochi anni fa erano probabilmente gli uffici. E' tutto così desolante...
A meno di due chilometri, oltre il ponte, oltre il lago, la città è ancora splendida e illuminata da dolci luci calde. Auto lucide si spostano da un locale all'altro, piene di ragazzi sorridenti che indossano piumini all'ultima moda, e ragazze con minigonne e stivali al ginocchio. Ma qualcosa si è incrinato, lo si percepisce anche dove le ombre della periferia morente sembrano più lontane.
Qualcosa si è rotto.
La tangenziale è deserta, premo sull'acceleratore. Il battito cardiaco aumenta sensibilmente, sembra seguire l'angolazione della lancetta del contagiri. Potrei rilasciare la pressione sul pedale ma non lo faccio, e la lancetta sale ancora. Le mani strette sul volante, gli occhi fissi davanti a me, il rombo del motore, l'acqua che scroscia sul parabrezza, adesso il cuore batte forte.
L'auto scivola letteralmente sulla lastra di acqua sotto di me, e mi chiedo cosa succederebbe se frenassi ora, o se provassi a sterzare. Un minuto, forse due. Poi, un respiro profondo, sollevo poco a poco il piede destro, il battito cardiaco torna normale. Imbocco poco più avanti lo svincolo che mi porta verso casa, ho bisogno di dormire adesso.


Luglio 2006
Sulla strada che collega Malaga a Siviglia, un'auto presa a nolo. Pantaloni corti, una maglietta rossa, la pelle abbronzata e calda, occhiali da sole.
Il vecchio zaino Invicta buttato sui sedili posteriori, finestrino abbassato, una gamba fuori. L'aria profuma di terra bruciata dal sole e uliveti. Oggi non tocca a me guidare, il mio unico compito è quello di scegliere il cd giusto da mettere nel lettore, ed eventualmente aprire qualche birra.
Il fascino del deserto andaluso è indescrivibile. Il cielo azzurro e terso si infrange contro la terra brulla, contro le strane formazioni rocciose disegnate dal vento, contro il verde scuro dei futteti e degli alberi d'ulivo, contro i muri bianchi di antiche case padronali, basse, larghe e solide, coi tetti piatti sostenuti da travi di legno scuro, e gli enormi pickup parcheggiati nella penombra di un pergolato o sotto una pianta.
Nessuna preoccupazione al di fuori del decidere dove ceneremo quella sera. Cerco tra i cd... avrei potuto tirare fuori qualcosa di drammaticamente a tema, come un disco degli Eagles, dei Calexico o di JJ Cale, e invece scelgo Something wicked this way comes degli Iced Earth, e lo inserisco nel lettore, non immaginando che per sempre quelle cavalcate rimarranno impresse nella mia mente con i colori di quel deserto e di quel cielo.
Ci sono momenti in cui tutto è, o sembra essere, perfetto, come se ogni granello di polvere, ogni molecola, ogni atomo dell'universo che ci circonda fosse esattamente dove deve essere, e quel momento l'ho riconosciuto nello stesso istante in cui lo stavo respirando.