lunedì 22 dicembre 2008

Elfico o El-fico?!

Quest'anno ho deciso di automandarmi gli auguri :D

elfico_derek
E c'è pure il balletto, Fred Astaire mi fa una p**** (anche se forse Ginger sarebbe stata più indicata)!!

http://elfyourself.jibjab.com/view/rtf7miw1HHQMcG80

domenica 7 dicembre 2008

E non si tratta di estremismo ambientalista...

una_scomoda_veritàNon sono mai salito su di un gommone Greenpeace, all'inseguimento di baleniere giapponesi, e neppure ho fatto lo sciopero della fame legandomi alle sbarre di uno zoo protestando per le condizioni degli orsi austriaci, ma il tema dell'ecologia mi è da sempre caro.

Basta guardarsi attorno per capire che ci troviamo su una strada che non porta da nessuna parte. Deforestazione, riscaldamento globale, sovrappopolazione, cibo e risorse idriche che iniziano a scarseggiare, animali che si estingono ad una velocità mai registrata prima, desertificazione da una parte e uragani e inondazioni dall'altra.
Che buttate così, tutti assieme, sembrano un'accozzaglia di titoloni ad effetto presi dalle copertine di periodici pseudo-scientifici tipo Focus (la "Novella 2000" della scienza, ormai non riesco neanche più a leggerlo), ma se si ha modo di approfondire anche solo un poco quello che sta realmente succedendo al pianeta, e a noi, c'è poco da stare allegri.

A questo riguardo ho da poco finito di leggere un libro molto interessante, La terra in bilico, di Al Gore (come si autodefinisce ironicamente, l'ex prossimo presidente degli Stati Uniti), e ho pure guardato il film-documentario che ha realizzato nel 2006, Una scomoda verità (An Inconvenient Truth).

Scheda del libro - Scheda del film (ve li consiglio, se non è ancora chiaro :-) )

Fondamentalmente, libro e film rendono chiaro e lampante il fatto che nel secolo passato (quello delle grandi evoluzioni in campo tecnologico e scientifico) il nostro atteggiamento nei confronti della natura è stato assolutamente scriteriato. L'utilizzo intensivo delle tecnologie volto a massimizzare i profitti nel breve termine, ha portato sulla distanza a conseguenze catastrofiche, e se non si fa qualcosa per cambiare la tendenza saranno veramente cazzi amari.

E parlando di tecnologie "pericolose" (e questo è chiaramente un eufemismo) sfido chiunque abbia più o meno la mia età a non ricordarsi il disastro di Chernobyl. Non si poteva bere il latte, non si poteva mangiare l'insalata. Sapevamo solo che la fuori c'era un nemico invisibile che si chiamava radioattività, e se ci penso ancora mi vengono i brividi.

E ora io mi chiedo cosa passa attraverso quelle teste di cazzo che sono per il "rilancio del nucleare", pronunciato col sorriso sulle labbra come se si trattasse della riapertura di una vecchia fabbrica di sapone.

E' una tecnologia pericolosa, anche vecchia, che richiede costi enormi per lo studio, la realizzazione e per il mantenimento. Posto che, una volta che la prima centrale sarà ultimata, si riesca ancora trovare abbastanza uranio per farla funzionare, dato che (per fortuna?) pare stia iniziando a scarseggiare.

E vogliono costruirle in Italia, un paese ad alta vocazione sismica dove manco sappiamo buttar via le spazzature o finire un'autostrada. E loro pensano a costruire delle centrali!!!
Ci si nasconde dietro il dito del costo elevato dell'energia (dovuto come sappiamo tutti più da speculazioni che da altro) quando basterebbe che dicessero la verità: appalti in cambio di voti, come sempre è stato nelle italiche terre. Che sia il ponte su uno stretto, una centrale del cazzo, un carcere che non verrà mai utilizzato o un ospedale che non entrerà mai in funzione, l'importante è che arrivi l'appalto.

Ma sto divagando.

Stavo parlando di ecologia, e di tecnologia che se mal gestita come successe a Chernobyl, ci si rivolta contro.

Guardate questo video, e poi se volete dite la vostra, io le parole le ho finite.




domenica 30 novembre 2008

Through the grapevine...

GrapevinesNon mi sono mai piaciute le sfumature di grigio, sono indecifrabili e destabilizzanti... non sai mai bene a che punto del gradiente ti trovi.
Dicevo, non mi piacciono, ma come tutti mi trovo naturalmente costretto a fare i conti con loro, perchè il bianco e il nero sembrano in fondo essere concetti puramente astratti, entità che poco hanno a che vedere col mondo reale.
Molti in queste sfumature trovano il loro habitat naturale, e (consciamente o meno) si godono la libertà data dall'assenza di punti di riferimento precisi. Un relativismo che in fondo rende tutto giustificabile, basta cambiare il punto d'osservazione... in un certo senso diventa tutto molto più semplice, no?

Ma io in questa melma grigiastra annaspo a fatica, in perenne tensione verso quel bianco o quel nero che determinano l'orizzonte dei miei sentimenti e della mia morale.
E' faticoso, e lo diventa ancor di più quando mi tocca affrontare la realtà e tornare sul pianeta terra, rendermi conto che non sono nè Mr Spock nè un santone tibetano, e che talvolta l'unico modo per andare avanti è accettare un compromesso, e scegliere il grigio.

Un'altra cosa che crescendo ho imparato è che non solo esiste il grigio con le sue infinite sfumature, ma che addirittura il bianco e il nero si "spostano", e mi trovo ad accettare come naturali situazioni che fino a pochi anni fa mi sarebbero sembrate inconcepibili.
E' come navigare senza bussola col solo aiuto delle stelle, ma con la mia personale volta celeste che poco a poco si sposta secondo criteri imprevedibili.

Sto descrivendo con metafore sufficientemente cervellotiche forse quello che un vecchietto riassumerebbe con un incisivo "Crescendo si cambia, ragazzo mio"... ma quello che vorrei dire a quel vecchietto è "E allora a cosa cazzo devo credere se tutto cambia foma di continuo, io compreso?"

I rapporti tra le persone sono sempre più deformati, i concetti di amicizia, amore e rispetto, sembrano non avere più lo stesso significato che avevano per i nostri nonni e le eccezioni sono rare, purtroppo.

Nella mia cerchia di amicizie e conoscenze, le persone felici di quello che stanno costruendo col partner si contano sulle dita di una mano... tutto il resto è un favoloso cocktail di separazioni e divorzi, dubbi strazianti, paure, cornificazioni, reciproche sopportazioni.. capite bene che la linea del mio "orizzonte" di qualche anno fa non comprendeva assolutamente situazioni come queste. Forse ero solo ingenuo?
Ancora oggi mi sembrano dolorose assurdità, ma può darsi che sia solo questione di tempo, e poco a poco la volta celeste ruoterà ritarando di nuovo il concetto di cosa è accettabile e cosa è no.

Dal canto mio, scenderò dalla mia staccionata solo quando sentirò le "campane suonare", e a parte un tintinnio sentito lo scorso anno (prontamente soppresso, probabilmente era meglio così) è un po che non capita.
Che faccia anche questo parte di una mutazione dell'orizzonte, in atto a mia insaputa?
Mi spiacerebbe non sentirle più, perse nella nebbia (grigia)... era una bella sensazione.

Vorrà dire che per ora me ne starò su questa staccionata, con un filo d'erba in bocca, a guardare il mondo che mi esplode davanti.


Scritto in compagnia di un cd di Marvin Gaye (e uno scotch).




mercoledì 19 novembre 2008

November songs

Con la musica, non vado mai a caso... per me ha un valore immenso, e per questo motivo raramente mi succede di ascoltare "quello che capita" alla radio, o su Mtv.
Come tanti, la scelgo accuratamente sulla base dell'umore. Ma a volte anche del clima, del periodo dell'anno,o di cosa devo fare...

La playlist di ottobre era decisamente incentrata sul concetto di "aggressività & nerissima rabbia funesta", e rispecchiava in sostanza l'umore del periodo.

Questa nuova playlist invece è decisamente più varia e meno heavy... deve essere il Natale che arriva hehe! E adesso prendete una moneta da cento lire, ficcatela nel juke-box, e buon ascolto!

Joe Satriani - New Blues

Non vado pazzo per  i cosiddett "Guitar Hero", personaggi in grado di rovesciarti addosso cascate di note a velocità spaventosa, inarrivabili e perfetti nell'esecuzione dei loro strabilianti pezzi, gioia per le orecchie di molti appassionati della chitarra, ma mazzate sui coglioni di rara pesantezza per tutti gli altri.
Io, nonostante la passione per lo strumento (non supportata dai risultati ma vabbè, tanto sono bellissimo, quindi cosa me ne fotte? So che non c'entra, ma c'entra), solitamente vado in paranoia già a metà della prima canzone. Non li reggo.
Eppure ci sono alcuni figuri, come ad esempio questo Joe Satriani, che nonostante appartengano a pieno titolo alla categoria dei "Guitar Hero" riescono comunque a regalarmi emozioni.
Forse perchè scelgono con cura quali note suonare (e quali no), e perchè hanno un "senso della musica" che va oltre la perizia esecutiva e la matematica della composizione.
Ad ogni modo, New Blues di Joe Satriani, mi piace parecchio.

Billy Joel - Shades of gray
A parte il fatto che adoro Billy Joel (e grazie mamma per avermelo fatto scoprire), questa canzone ha fatto strani giri nel mio cervello.
E' del Joel più recente, al quale preferisco di gran lunga quello seventies, ma quando mi regalarono il CD (River of dreams) anni e anni fa, lo ascoltai comunque fino alla nausea.
Questo pezzo era forse quello che preferivo del lotto, musica tirata (secondo i canoni di Billy Joel naturalmente) e testo interessante per un ragazzo in fase problematico-postpuberale qual'ero.
Purtroppo il periodo che stavo vivendo era un po', come dire, di merda. Quindi come capita spesso, ho poi smesso di ascoltare quel CD perchè evocava sensazioni che non mi andava di rivivere... prima per settimane, poi per mesi, e alla fine per anni.
Poi, facendo pulizie, qualche settimana fa mi è ricapitato in mano quel CD, e ho deciso di riprendere ad ascoltarlo. E ho fatto bene :-)

Moorcheeba - Friction

Melodie semplici ma non troppo, mood rilassato e voce felpata... mi piacciono. Friction è la canzone con la quale li ho conosciuti.

Savatage - This isn't what we ment

Tratta dall'album "Dead winter dead", un concept che ruota attorno ad una storia d'amore ambientata in Bosnia durante la guerra (1992-1995).
La vena sinfonica dei Savatage, che in quest'album e nel successivo Wake of Magellan trova il proprio apice, e il timbro caldo della voce del cantante Zack Stevens, riescono a trasportare l'ascoltatore all'interno di questa storia dai toni romantici e drammatici, amalgamando dolcezza e potenza come pochi sono in grado di fare.

Therion - An arrow from the sun

I Therion sono un gruppo interessante. Fanno musica che definire metal è estremamente riduttivo: nelle loro composizioni trovano spazio tenori, baritoni, soprani e orchestre sinfoniche, sprazzi progressive e cavalcate elettriche che lasciano il passo, di quando in quando, ad inserti folk.
Se vi piace questa canzone, vi cosiglio vivamente il doppio album Sirius-B / Lemuria, che tra l'altro ha anche un concept interessante.

Beastie Boys -  Brass monkey
Questi ragazzi di New York sono uno dei (pochi) act rap che seguo. Tirano fuori il rapper metropolitano (rigorosamente di New York) che si nasconde in me.

Offspring - Hit that
Quando si dice la "musica poco impegnata", vero?
Si, sono più pop di quello che vorrei dare a credere (anche a me stesso).
Però il "punk all'acqua di rose" che suonano questi ragazzi mi ha sempre divertito... canzoni fatte per suonare dalle casse dell'autoradio, mentre con la capote scoperta e il vento nei capelli si va alla piscina comunale.

Mark Lanegan - Wedding Dress
Una delle mie voci preferite, e chi mi conosce da un po' non può non saperlo. Ma il fatto che lo sappiate già non mi impedisce di pubblicare qualche sua gemma di quando in quando.

Manu Chao - Bongo bong
Sempre dal mio lato "pop", ho ripescato questa vecchia canzone del cantante dei Mano Negra. Mi è sempre piaciuta, per le sonorità malinco-afro-franco-caraibiche... vuoi vedere che dentro di me si nasconde (assieme al rapper) un fricchettone rasta mariuanomane e non lo sapevo?

Destruction - Nailed to the cross

Credavate mica che mi fossi rammollito eh? Non sia mai, quindi eccovi una sonora badilata sui denti con "Nailed to the cross" dei tedeschissimi e incazzatissimi e abrasivissimi Destruction

Rage against the machine - Bombtrack
Chi non li conosce vada su wikipedia, si informi, e poi torni qui.
Hanno praticamente inventato il "crossover", mixando riff rock/metal e cantato dall'incedere smaccatamente rap. Granderrimo gruppo, IMHO.

Scorpions -  Holiday
Giusto per chi non sapesse che, oltre a Wind of change, questi teutoni hanno fatto anche altro. Parecchio altro. Trovo che le ballad degli Scorpions siano tutte estremamente belle, un ascolto vale sicuramente la pena!

Rockets - Galactica

Cacchio che nostalgia... il mito dello spazio e della tecnologia era decisamente forte all'inizio degli anni ottanta, e io ne ero totalmente succube.
Questi spazi infiniti, sconosciuti, neri, solcati da razzi USAF alla ricerca di mondi lontani e alieni, hanno sempre esercitato una forte attrattiva su di me. Come potevo non impazzire per questi musici francesi d'argento dipinti?

Korpiklaani - Cottages and saunas
Si possono mixare gioiose ballate folk, batteria a doppia cassa, chitarre e un cantato semi-growl? Era una domanda retorica, quindi "si".
Quello che propongono i Korpiklaani è un humpa-metal divertente, salterino e coinvolgente, come una festa paesana nel nord della Finlandia.
Si balla tra i pini, si sorride alla bella del villaggio, si beve birra, e si ringraziano gli spiriti della foresta.

Disturbed - Indestructible
Il gruppo è di Chicago, il loro sound è moderno e il cantante ha un timbro vocale interessante. Il loro ultimo CD lo sto consumando.

The Hives - Hate To Say I Told You So
Rock punk grezzo ma non troppo, pop ma non troppo, inglese ma non troppo (sono svedesi). Canzone che nel duemila e rotti ho ascoltato parecchio.

Dream Theater -  The silent man
In questo gruppo militano alcuni tra i più grandi virtuosi dell'ultimo ventennio, ma un po' come per Satriani, anche questi Dream Theater sono in grado di mettere la musica (con la emme maiuscola) in primo piano.
Questa è una ballad tra le più belle scritte da loro. Voce, una chitarra e poco altro.

giovedì 13 novembre 2008

Un post giocondo #2

Anche Derek, ogni tanto, se la ride, di nuovo :-)

Il potere alla scienza!
Uno scienziato sta facendo degli esperimenti scientifici su una pulce e trascrive i suoi risultati su un notes. Lo scienziato toglie una zampa alla pulce e le dice: "Salta!". La pulce salta ed egli scrive sul notes: "La pulce senza una zampa salta". Poi toglie una seconda zampa alla pulce e le dice di saltare. La pulce salta ed egli scrive sul notes: "La pulce senza due zampe salta". E coì via fino a togliere l'ultima zampa. A quel punto lo scienziato ancora ripete: "Salta!" Ma la pulce non salta più e lo scienziato scrive sul suo taccuino: "La pulce senza zampe diventa ... sorda!".

Tecnologia e pastorizia
Un pastore stava pascolando il suo gregge di pecore, in un pascolo decisamente lontano e isolato quando all'improvviso vede avvicinarsi una BMW nuova fiammante che avanza lasciandosi dietro una nuvola di polvere.
Il guidatore, un giovane in un elegante abito di Versace, scarpe Gucci, occhiali Ray Ban e cravatta Yves Saint Laurent rallenta, si sporge dal finestrino dell'auto e dice al pastore: ''Se ti dico esattamente quante
pecore hai nel tuo gregge, me ne regali una?'' Il pastore guarda l'uomo, evidentemente uno yuppie, poi si volta verso il suo gregge e risponde con calma: ''Certo, perché no?''
A questo punto lo yuppie posteggia l'auto, tira fuori il suo computer portatile della Dell e lo collega al suo cellulare della A T& T. Si collega a internet, naviga in una pagina della NASA, seleziona un sistema di navigazione satellitare GPS per avere un'esatta posizione di dove si trova e invia questi dati a un altro satellite NASA che scansiona l'area e ne fa una foto in risoluzione ultradefinita. Apre quindi un programma di foto digitale della Adobe Photoshop ed esporta l'immagine a un laboratorio di Amburgo in Germania che dopo pochi secondi gli spedisce un e-mail sul suo palmare Palm Pilot confermando che l'immagine è stata elaborata e i dati sono stati completamente memorizzati.
Tramite una connessione ODBC accede a un database MS-SQL e su un foglio di lavoro Excel con centinaia di formule complesse carica tutti i dati tramite e-mail con il suo Blackberry.
Dopo pochi minuti riceve una risposta e alla fine stampa una relazione completa di 150 pagine, a colori, sulla sua nuovissima stampante HP LaserJet iper-tecnologica e miniaturizzata, e rivolgendosi al pastore
esclama: ''Tu possiedi esattamente 1586 pecore''.
''Esatto. Bene, immagino che puoi prenderti la tua pecora a questo punto'' dice il pastore e guarda
giovane scegliere un animale che si appresta poi a mettere nel baule dell'auto. Il pastore quindi aggiunge: ''Hei, se indovino che mestiere fai, mi restituisci la pecora?''.
Lo yuppie ci pensa su un attimo e dice: ''Okay, perché no?''
''Sei un consulente'' dice il pastore.
'Caspita, è vero - dice il giovane - come hai fatto a indovinare?''
''Beh non c'è molto da indovinare, mi pare piuttosto evidente - dice il pastore - sei comparso senza che nessuno ti cercasse, vuoi essere pagato per una risposta che io già conosco, a una domanda che nessuno ti ha fatto e non capisci un cazzo del mio lavoro. Ora restituiscimi il cane!''

Pistole e cowboy
In un saloon del Far West. Un prestigiatore chiede attenzione ai cow-boys presenti perche' vuol presentare un suo nuovo gioco di prestigio: "C'e' qualcuno che vuole scommettere che riesco a farglielo rizzare a comando?". Un tizio si offre volontario, tira giu' i calzoni e in effetti appena il prestigiatore dice 'Bim Bum bam' il membro presenta una rapida e impressionante erezione. Il prestigiatore aggiunge: "E non e' tutto: il membro tornera' in posizione normale non appena qualcuno lancera' un fischio". E in effetti un cowboy lancia un fischio e subito dopo il membro torna normale. A quel punto si alza un vecchietto che dice: "Scommettiamo che con me non riesce: sono 30 anni che non mi si rizza piu'". E il prestigiatore: "Non c'e' problema: 'Bim bum bam' " e il pene presenta subito una stupenda erezione. Allora il vecchietto tira fuori la colt e urla: "Il primo che fischia lo faccio secco!".


p.s: se le conoscete già, amen :P

Un post giocondo #1

Anche Derek, ogni tanto, se la ride :-)

Negozi e cartelli
QUESTA MACELLERIA RIMANE APERTA LA DOMENICA SOLO PER I POLLI.
(Insegna in un negozio)

Qui chiavi in 5 minuti.
(Insegna in un negozio)

SI E' SPENTO L'UOMO CHE SI E' DATO FUOCO.
(Giornale di Sicilia, 1998)

SOLITA CONFERMA: IL FALLO DA DIETRO E' DA ESPULSIONE.
(Corriere delo sport, 1998)

POMPINI A RAFFICA.
(N.d.W. Pompini ex giocatore dell'Ascoli, titolo della Gazzetta dello sport)

MULTA DI 160.000 PERCHE' IL MULO E' PRIVO DI LUCI DI POSIZIONE.
(Cronaca vera, 1995)

Si affitta l'abitazione del terzo piano, la signora del secondo la fa vedere a tutti.
(Inserzione in una strada di Trapani)

Per ogni taglio di capelli vi faremo una lavata di capo gratis.
(Insegna in un negozio)

Vendo tutto per esaurimento.
(Insegna in un negozio)

Eliminazione totale bambini a sole 29.000.
(Insegna in un negozio)

QUI CHIAVI A VISTA.
(Insegna in un negozio)

FUNERALI A COSTI RIDOTTI. CINQUANTASEI RATE A PREZZI BLOCCATI. AFFRETTATEVI.
(Da un quotidiano)

SI AVVERTE IL PUBBLICO CHE I GIORNI FISSATI PER LE MORTI SONO IL MARTEDI' E IL GIOVEDI'.
(Ufficio anagrafe a Reggio Calabria)

(in una palazzina con officina artigianale sul retro)
- SI VENDE SOLO IL DAVANTI, IL DIDIETRO SERVE A MIO MARITO

(negozio di mangimi)
- TUTTO PER IL VOSTRO UCCELLO

(panificio)
- QUANDO VI DIVENTA DURO VE LO GRATTUGIAMO GRATIS E META' CE LO TRATTENIAMO
- PANE FRESCO CALDO

(gelateria)
VENDESI GELATERIA, LIQUIDO TUTTO
SI VENDE GHIACCIO FRESCO

(mobiliere)
- SI VENDONO LETTI A CASTELLO PER BAMBINI DI LEGNO
- SI VENDONO MOBILI DEL SETTECENTO NUOVI

(macelleria)
- DA ROSALIA ­ TACCHINI E POLLI, A RICHIESTA SI APRONO LE COSCE
- CARNE BOVINA OVINA CAPRINA SUINA POLLINA E CONIGLINA

(polleria)
- POLLI ARROSTO ANCHE VIVI
- SI AMMAZZANO GALLINE IN FACCIA
- SI VENDONO UOVA FRESCHE PER BAMBINI DA SUCCHIARE

(sfasciacarrozze)
QUI SI VENDONO AUTOMOBILI INCIDENTATE MA NON RUBATE

(negozio di fiori)
SE MI CERCATE SONO AL CIMITERO.....VIVO

(abbigliamento)
- NUOVI ARRIVI DI MUTANDE, SE LE PROVATE NON LE TOGLIETE PIU'
- NON ANDATE ALTROVE A FARVI RUBARE, PROVATE DA NOI
- IN QUESTO NEGOZIO DI QUELLO CHE C'E' NON MANCA NIENTE
- AL REPARTO BAMBINI 3 AL PREZZO DI 2
- SI VENDONO IMPERMEABILI PER BAMBINI DI GOMMA

(autofficina)
VENITE UNA VOLTA DA NOI E NON ANDRETE MAI PIU DA NESSUN'ALTRA PARTE

(fiorista)
SI INVIANO FIORI IN TUTTO IL MONDO VIA FAX

(derattizzanti)
QUI ULTIMA CENA PER TOPI

(ferramenta)
SEGA A DUE MANI E A DENTI STRETTI: 50 EURO

(lavanderia)
SI SMACCHIANO ANTILOPI

SI RIPARANO BICICLETTE ANCHE ROTTE


Il prodotto col cartellino
Su un pacchetto di patatine:
PUOI ESSERE UN VINCITORE! NON E' NECESSARIO AQUISTARE. I DETTAGLI ALL'INTERNO.
(E' un invito al taccheggio?)

Sulla bottiglia di una bevanda a base di latte aromatizzato:
DOPO L'APERTURA, MANTENERE VERTICALE.

Su uno spray contro gli insetti della Nuova Zelanda:
QUESTO PRODOTTO NON E' TESTATO SUGLI ANIMALI.

In una guida statunitense per settare un nuovo computer:
PER EVITARE LA CONDENSA, LASCIARE CHE LA SCATOLA SI RISCALDI FINO ALLA TEMPERATURA AMBIENTE PRIMA DELL' APERTURA.
(Ragionevole, ma l' istruzione era ALL'INTERNO della scatola.)

Sulla manopola di un distributore di sapone:
ATTENZIONE - USARE SAPONE NORMALE.
(Quale sarebbe non normale?)

Su una scatola di dessert "Tesco" Tiramisu' (stampato sulla parte inferiore della scatola):
NON GIRARE SOTTO-SOPRA.
(Troppo tardi!)

Sui contrassegni del "Pane Di Spencer":
IL PRODOTTO SARA' CALDO DOPO IL RISCALDAMENTO.
(Siete sicuri? Sperimentiamo.)

Su un presepe di natale che si illumina fatto in Cina:
SOLTANTO PER UN USO ALL'INTERNO O ALL'ESTERNO.
(Dove altro potrei usarlo?)

Su un forno giapponese:
NON ESSERE USATO PER L'ALTRO USO.
(Ora sono curioso.)

Sulle arachidi di Sainsbury:
-ATTENZIONE - CONTIENE ARACHIDI.
(Davvero? E perchè non va bene?)

Su un pacchetto di arachidi della American Airlines:
ISTRUZIONI - APRI IL PACCHETTO, MANGIA LE ARACHIDI.
(Sono felice, quello di prima mi preoccupava!)

Su una motosega svedese:
NON TENTARE DI ARRESTARE LA CATENA CON LE MANI O CON I GENITALI.
(Che razza di avviso e'?)

Su un costume da superman per bambini:
L' USO DI QUESTO INDUMENTO NON VI PERMETTE DI VOLARE.
(Va bene, distruggiamo una fantasia universale dell'infanzia!)

mercoledì 5 novembre 2008

Tragedie: alcool (e droghe) al volante

Quante notizie di incidenti gravi dovuti all'alcool e alle droghe sentiamo, praticamente ogni giorno? Tante, troppe.

Non è questione di chi beve un bicchiere di vino di troppo in pizzeria (che va comunque sanzionato, non ci piove.)

E' questione di quelli che si scolano intere bottiglie di liquore prima di uscire a fare i brillanti in disco,
di quelli che si sfondano di boccali di birra nei pub o di cocktail nei locali alla moda,
di quelli che si fanno 3 canne a sera perchè sono alternativi,
di quelli che tirano di coca che tanto non costa più un cazzo e poi aiuta la concentrazione,
di quelli (anche giovanissimi) che  mandan giù pasticche come fossero smarties...
e che poi, come niente fosse si mettono al volante, per correre verso un altro locale, un altro rave, a fare colazione a Venezia (cosa in voga dalle mie parti fino a qualche anno fa), o magari a schiantarsi contro un platano.

Non credo di essere troppo cattivo se affermo che ritengo proprio il platano la meta più appropriata.

In Texas avranno grilletto e la pena di morte facile, ma la campagna di sensibilizzazione che hanno messo in piedi lascia il segno.

La ragazza che vedete nella foto in alto si chiama Jacqueline Saburido. Quella era lei prima dell'incidente.

Qui sotto vedete il manifesto della campagna che recita: "Non tutti quelli che vengono investiti da un automobilista ubriaco muoiono"





Questo invece lo spot.







  Non ho altro da aggiungere... se volete, fate voi.

mercoledì 29 ottobre 2008

Plagio o son desto?

Lo ammetto, la scena musicale italiana non la seguo moltissimo... lo so, è un peccato perchè c'è molta gente valida in giro!
In linea di massima però questa disaffezione ha motivi più musicali che "idiomatici", non ne faccio un discorso di musicalità della lingua quanto di musica in se... il sound non mi cattura insomma.

Tuttavia, anche non seguendo il panorama italiano, è impossibile evitare certi tormentoni tele/radiofonici... puoi spegnere la tv, puoi non ascoltare la radio, ma prima o poi al centro commerciale ci vai, e la filodiffusione te la becchi per forza.

Tra i tormentoni dei mesi scorsi ammetto che uno in particolare non mi suonava malvagio alle orecchie, e si trattava di quella canzoncina intitolata "Non ti scordar mai di me" cantata dalla X-Factoriana Giusy Ferreri.

Tuttavia l'intro di quella canzone mi ha sempre ricordato un altro pezzo, vecchio di qualche anno: The way, dei Fastball.

L'ho riascoltato, e ci vedo più di qualche somiglianza.... da qui a parlare di plagio ovviamente ne passa, però la cosa mi è sembrata comunque... curiosa.

Voi cosa ne pensate, sono io che vedo i fantasmi o notate anche voi la somiglianza?

Giusy Ferreri - Non ti scordar mai di me







Fastball - The way

sabato 25 ottobre 2008

Due di notte

Rientro a casa dal lavoro alle 2 a.m., e mi siedo con una birra. Accendo la tv della notte e poi mi chiedo cosa ci faccio qui.
E' senza significato, triviale e si riversa su di me, e una volta ancora mi domando se questo è tutto quello che c'è, per me.

Eccomi di nuovo, guardami di nuovo... Eccomi di nuovo, per conto mio.
Mettendocela tutta per vedere cosa c'è per me.
Eccomi di nuovo, per conto mio.

La vita sembra così patetica, vorrei poter lasciarmi tutto alle spalle: questa sedia di tela, questo letto, questi muri che crollano nella mia mente.
Aspettando per qualcosa di meglio, che semplicemente mi trascini via da questa immondizia.
Mi lascerò andare o continuerò a resistere al dolore?

Eccomi di nuovo, guardami di nuovo... Eccomi di nuovo, per conto mio.
Mettendocela tutta per vedere cosa c'è per me.
Eccomi di nuovo, per conto mio.




Iron Maiden - 2 A.M.

domenica 19 ottobre 2008

Il mondo reale - The real world

Ho ripescato dalla mia audioteca una vecchia canzone dei Queensryche (per chi non li conosce, consiglio vivamente un ascolto al capolavoro "Operation mindcrime"), intitolata "Real World", che trovo bellissima.

Il video che trovate qui sotto l'ho pescato su youtube. Realizzato da un fan e assolutamente non ufficiale, riprende alcune scene dell film "Princess Mononoke" di Hayao Myiazaki, a mio avviso uno poeta dell'animazione (che ha vinto un oscar con la Città Incantata).

Quindi, consiglio l'ascolto della canzone un po' a tutti, e la visione di qualche film di Myazaki anche a chi non digerisce molto l'animazione, secondo me non se ne pentirà.




giovedì 16 ottobre 2008

Equivoci

Quando è successo, prima mi sono un po' incazzato, poi ho riso per quasi mezz'ora di fila.
Quest'estate mi sono sentito via sms con un'amica che era in vacanza, e per prenderla un po' in giro le ho scritto, in tono da "capo ufficio" la seguente frase.

"Buon divertimento, e mi raccomando, al tuo rientro esigo un rapporto completo sulla mia scrivania prima della riunione delle 9:30"


Ora, ammetto che mentre premevo invio avevo intuito che la frase poteva contenere una trappola, ma non ci badai più di tanto... il significato era chiaro no?!
Evidentemente no, visto che la sua risposta fu più o meno questa:

"Qui tutto bene grazie, mi sto divertendo! Però ti prego di non mandarmi più messaggi di questo tipo! La settimana prossima poi vado invacanza col mio fidanzato in vattelapesca* e rientro il 20"

Ma voglio dire, come si fa a fraintendere? Ok che il termine "rapporto completo" può essere equivoco, ma prima di fare l'offesa prova almeno a pensare se non potevo voler dire qualcosa di diverso dal "facciamo sesso sulla mia scrivania"!! Tra l'altro se anche avessi voluto intendere qualcosa del genere, vi pare che avrei mi sarei espresso questo modo??! "Esigo un rapporto completo sulla mia scrivania"?! Ma per piacere...

Ma dico io, a che stava pensando mentre leggeva il messaggio?! :-)


* sostituite vattelapesca con una località a caso del sud, non mi ricordo quale.

domenica 5 ottobre 2008

[racconto] - Vecchio Jazz e ghiaccio nero - Seconda parte

[vai alla prima parte]


Foglio #2
L'altra sera ci sono tornato. Erano passati più di quattro mesi, pensavo di aver scansato il pericolo ma non ho retto, non ce l'ho fatta.


Ero uscito con alcuni colleghi per una birra al pub non molto distante dal magazzino. Tra di loro c'era uno nuovo, un messicano taciturno che non doveva avere più di 20 anni. Era stato assunto da poco, di lui sapevo solo che lavorava al reparto spedizioni. Al tavolo se ne stava in silenzio seduto di fronte a me, giocherellando con un biglietto nero che aveva un'aria familiare... quando alzai gli occhi mi stava guardando, sorridendo. Poi mi lanciò il biglietto e se ne andò, senza dire una parola. La scritta Black Ice ammiccava riflettendo le luci del locale sulla sua superficie lucida.


Avrei dovuto strapparlo ma, naturalmente, non lo feci. Verso le dieci mi congedai dai ragazzi, e questa volta non ci provai neppure ad andare verso la metro... mentre percorrevo la strada che mi separava dal Black Ice avevo il cuore pieno di terrore ed eccitazione. Sapevo che stavo commettendo un grosso errore, ma non potevo farci nulla. Dovevo vederla, almeno ancora una volta.


Ci fu di nuovo il labirinto di muri, ci fu di nuovo la via deserta, quel terrificante cielo nero e quell'insopportabile ronzio. E ci fu di nuovo il pinguino impomatato a darmi il benvenuto, di nuovo il locale gremito di gente sorridente arrivata chi sa come fino laggiù, e ci fu lei.


Indossava ancora l'uniforme da soldato, e se possibile era ancora più bella della prima volta che la vidi. Mi riconobbe subito, e mi salutò con la mano. Sembrava felice, e mi accorsi della malinconia celata dietro agli occhi solo quando fummo vicini.


Salimmo ancora una volta fino all'ultimo loggione, e facemmo l'amore in modo disperato, furioso. Le visioni arrivarono e se ne andarono più volte, ma non mi fermai... in bilico tra realtà ed incubo non mi interessava più da che parte dello specchio mi trovassi. Desideravo solo essere li con lei, qualsiasi luogo della mente o dello spazio fosse quel posto.


Eravamo coricati uno di fianco all'altra, ancora ansimanti. Stringevo la sua mano, e lei mi disse che voleva spiegarmi, che doveva spiegarmi. Cercai di dirle che non mi interessava, che non volevo sapere nulla, ma lei insistette.


E scoprii che stavo morendo, lentamente. In un certo senso mi stavo uccidendo da solo, e lei era il veleno, era il tubo del gas, era la pallottola sputata dalla canna della pistola.


Ogni volta che uscivo da quel locale perdevo una parte di me... poco a poco il Black Ice mi avrebbe divorato, cibandosi dei miei ricordi e dei miei sentimenti fino a quando di me non sarebbe rimasto che un involucro di carne in grado a malapena di accorgersi della differenza tra notte e giorno.


Senza saperlo, non consciamente almeno, presi la decisione di uccidermi proprio quella sera al pub irlandese, e chissà come mai questa rivelazione non mi sconvolse più di tanto.


Mi disse che nessuno veniva trascinato al Black Ice per forza o convinto con l'inganno, non sarebbe stato eticamente corretto: ogni singolo cliente aveva deciso il suo destino già prima di varcare la soglia del locale.


Ascoltavo con attenzione ogni sua parola, e per quanto pazzesco fosse quello che mi stava raccontando, in qualche modo sapevo che si trattava della verità.


Le raccontai delle mie "visioni", e mi disse che era del tutto normale averle... ma che non si trattava di visioni. Piuttosto la visione era quella che stavo vivendo in quel momento, coricato su morbidi cuscini e avvolto in lenzuola di seta. Ciò che avevo visto in realtà erano squarci aperti sul vero Black Ice, o meglio su uno dei suoi volti. E prima che potessi formulare la domanda mi disse che si, la stessa cosa valeva anche per lei...


Rimasi in silenzio per qualche minuto, mentre lei mi accarezzava piano. Poi le chiesi se l'etichetta del locale concedesse di potersi innamorarsi del proprio carnefice. Dissi queste parole col sorriso amaro di chi sa che è tutto perduto. Li, tra le sue braccia, stavo bene. Disse di si, ma che non sapeva se fosse concesso il contrario.


Arrivai a casa alle 5, e decisi che mi sarebbe bastata un'ora per recuperare le energie e tornare al lavoro. La sveglia suonò alle 6, e poi ad intervalli regolari fino alle 7, ma non la sentii. Due ore dopo suonò anche il telefono, e mi svegliai di soprassalto: era la segretaria del mio capo, che mi avvisava di passare il prima possibile a svuotare il mio armadietto e a riconsegnare il badge di riconoscimento. Ero stato licenziato.


Avevo appena scoperto che stavo lentamente morendo, che non potevo farci niente... e guardando la mia vita da questa nuova angolazione l'idea di perdere il lavoro sembrava decisamente meno drammatica. Sono andato al magazzino, preso la mia roba e infilato il badge nel taschino della camicia verde-cavolfiore del capo. Senza dire una parola. Lo fissai per qualche secondo... mi sembrava stranamente più basso, e la sua faccia ricordava quella di un cane, un bulldog forse. Strano vero?


A dirla tutta, non era solo quel figlio di puttana a sembrarmi "singolare": le strade, i palazzi, le auto, le persone... pareva tutto assolutamente normale, eppure qualcosa di diverso c'era. Qualcosa che aveva a che vedere con le proporzioni delle cose, con i colori, con le espressioni sui volti dei passanti. Ma forse mi sbagliavo, ed era solo colpa del sonno arretrato.



Sono 3 giorni che non esco di casa, il frigorifero è praticamente vuoto. Guardo fuori dalla finestra e la città sembra, fortunatamente, la solita: il palazzo di fronte è sempre lo stesso vecchio palazzo di fronte, le auto sono sempre parcheggiate in tripla fila, e non c'è nessun mostro verde con le squame a spasso per il quartiere. C'è solo questa pioggia fetida che cade ininterrottamente da l'altro ieri.

Non mi va di uscire, ma starmene qui rinchiuso non mi sta aiutando. Dovrei andare a prendere qualcosa da mettere sotto i denti, magari mi distraggo un po' e smetto di pensare a quello che mi ha detto la ragazza. A volte riesco quasi a convincermi di essermi immaginato tutto, ma il suo profumo sui miei vestiti è li a ricordarmi che non è così.


Se è vero che la mia fine è inevitabile, l'unica cosa che posso fare è cercare di allontanare il più possibile il momento in cui avverrà. Deve essere un rigurgito di istinto di sopravvivenza, credo. Devo stare lontano da quel locale, tutto qua.


Ok, ho deciso: esco a fare la spesa. E andrò anche ad iscrivermi alle liste di collocamento, dovrò pur pagare l'affitto i prossimi mesi.



Foglio #3
La situazione sta precipitando, e sembra che non possa farci niente. E' passato più di un anno da quando ho iniziato a cercare ma non ho ancora trovato un lavoro stabile, e i soldi iniziano a scarseggiare. Diciamo pure che i soldi sono finiti. Ho fame, cerco di saltare più pasti che posso, almeno fino a quando non riuscirò a guadagnare qualcosa.


Il padrone di casa mi ha già detto che se non pagherò neppure il prossimo affitto sarà costretto a cacciarmi di casa, e che si terrà i mobili e la tv per rifarsi in parte di quello che gli devo.


La città la fuori è diversa, mi sembra di vivere in uno stato di allucinazioni perenni dove tutto è strano, sbagliato... le prime volte mi ostinavo a dar colpa alla sonno (dormo pochissime ore a notte ormai, e mi sveglio in continuazione), poi alle medicine che prendo per combattere l'insonnia, e poi ancora alla fame, ma so che non è nulla di questo. E' come se il mondo del Black Ice stesse straripando in quello reale, o forse sta solo straripando nel mio cervello. A volte mi sembra di sentire anche quell'orribile ronzio... mi sta cercando, mi sta chiamando. Sono parecchi mesi che manco da la, in fondo.


Ma resisterò, devo resistere. Forse passerà. Fuori piove ancora, non smette quasi mai. Come fa a non essersi ancora allagata questa città?!




Foglio #4


Mi sono accorto che la mia memoria inizia a funzionare in modo strano... spesso non ricordo cosa ho fatto dieci minuti prima, ma ricordo con chiarezza quello che ho fatto la sera precedente. Oppure ricordo avvenimenti del passato fino nei minimi dettagli, ma non ricordo le facce di amici e conoscenti. L'altro giorno per strada mi ha fermato un tizio che diceva di essere un mio vecchio collega al magazzino... si tratta di solo pochi mesi prima, ma io non lo ricordavo minimamente... forse il nome non mi era nuovo ma per il resto, il vuoto.

Non si sta mettendo particolarmente bene, credo.


Ah dimenticavo... alla fine il vecchio padrone mi ha sfrattato... non glie ne faccio una colpa, in fondo lo capisco. Adesso vivo in un vecchio albergo decrepito con i muri dei corridoi che puzzano di piscio, ma almeno non dormo accucciato nei cunicoli della metro come ho fatto le ultime due settimane. Sopravvivere è difficile, non credevo potesse essere così dura... qualche giorno fa ho rubato per la prima volta in vita mia, un po' di cibo al supermercato. Mi sono vergognato di me stesso, ma l'alternativa era saltare per l'ennesima volta la cena, non potevo farcela.


Ad ogni modo il nuovo padrone sembra un tipo simpatico, credo che faccia il pappone. Porta sempre con se una pistola infilata nella cintura, bene in vista, che gli da un tono pittoresco. Io poi o vedo altissimo, circa due volte me, ma ormai mi sono abituato a queste allucinazioni. Ho notato che sono più forti verso sera, e che alcune zone della città sembrano esserne miracolosamente immuni. Un giorno di questi voglio disegnare una cartina.


Ieri mattina sono passato davanti al parco giochi di una scuola, non aveva ancora ripreso a piovere e addirittura alcuni raggi di sole erano riusciti a farsi strada tra le nuvole e illuminare le giostre, e i bambini che si rincorrevano e si arrampicavano sui castelli e volavano sull'altalena e... mi sono seduto su una panchina e ho pianto.



Foglio #5
Ieri sera quel pappone del cazzo mi ha pestato. Prima col calcio della pistola, e poi con l'abat-jour... la mia faccia è tutta un livido, è un miracolo che non mi abbia fatto saltare alcun dente. Aveva bisogno della mia stanza per una delle sue ragazze e per il suo cliente, e quando gli ho detto che non se ne parlava ha trovato il modo più rapido per convincermi.


Me ne sono stato seduto nel corridoio tutto il tempo, quasi un paio d'ore. Poi ho dormito sul tappeto, non mi andava di coricarmi su quel letto ancora maleodorante di sudore e profumo da quattro soldi.


Questa mattina ho scippato una signora sulla cinquantina che era ferma davanti alla vetrina di una boutique, e mi è andata bene: il portafoglio era zeppo di soldi, forse riesco ad arrivare alla fine del mese senza dover rubare di nuovo al supermercato.


Vorrei dire che non sto pensando al Black Ice, ma la verità è che ci sto pensando costantemente. So che andare laggiù significa accelerare la mia corsa verso il baratro, ma mi chiedo se ha ancora senso la vita per come la sto vivendo ora. Forse darci finalmente un taglio è l'unica soluzione. L'unica cosa che mi trattiene è la vergogna di farmi vedere da lei in questo stato... ed è folle considerato che sappiamo bene entrambi che è il suo veleno che mi ha ridotto così.


Ho preso la mia decisione, questa sera andrò al Black Ice, e poi che succeda quello che deve succedere.




Reprise
Questo è quanto, se non fosse per quei pochi fogli quasi non saprei di aver avuto una vita diversa, modesta ma quanto meno dignitosa, prima del Black Ice.


Sono ancora vivo, ma a che prezzo? Non ricordo più nulla, compio azioni delle quali si vergognerebbe anche il peggiore dei balordi della città, vivo in questa topaia da mesi e le allucinazioni mi seguono ovunque.


Quella sera andai al Black Ice. Il ronzio davanti all'ingresso era insopportabile, forse era felice di vedermi e mi stava facendo le feste. Ero davanti al bancone e mi guardavo riflesso nello specchio alle spalle del barista. Il viso era rilassato, nessun segno di quello che avevo vissuto in questi due anni, le occhiaie profonde erano svanite, barba e capelli erano curati, e riuscivo a sorridere senza sembrare una parodia di un gangster fallito. Ero diventato, forse ancor più delle altre volte, parte dell'illusione.


Arrivò lei e dopo un paio di cocktail ci ritirammo nel loggione. L'orchestra quella sera suonava un jazz in stile marcatamente jungle. Una cosa del Black Ice bisognava dirla: quel locale aveva ottimo gusto in termini di musica.


Coricati sui comodi cuscini parlammo a lungo, ma questa volta non feci domande, sapevo ormai tutto quello che c'era da sapere. Ci spogliammo piano, e facemmo l'amore. Tra le sue braccia avrei potuto morire, ed era esattamente quello che una parte di me aveva in mente. Era coricata su di me e mi baciava il petto, e per una frazione di secondo vidi un lampo di realtà... mi accarezzava leggera mentre i suoi denti sporchi di sangue affondavano dolcemente nella mia carne, e mi ricordo che pensai che non volevo che si fermasse, e la strinsi ancor più forte a me. Poi ad un certo punto si staccò, improvvisamente. In ginocchio di fronte a me, mi guardava triste con quegli occhi azzurri come il cielo d'estate. Mi sentivo totalmente svuotato, senza forze... cercavo di mettermi a sedere aiutandomi con le braccia, ma continuavano a cedere e tornavo a sprofondare tra i cuscini. Era arrivata quasi in fondo, ma aveva deciso di fermarsi. Mi aiutò ad alzarmi e a rivestirmi... era ancora nuda e splendida, con la luce calda delle lampade che bagnava la sua pelle e i suoi lunghi capelli.


Ci baciammo ancora una volta, un bacio dolce e straziante. "Ora devi andare, davvero... non puoi più restare." Lo disse con voce tremula, mentre mi stringeva le mani. A malincuore uscii nel corridoio, barcollante e insicuro, e scesi nel salone principale.


Arrancai fino all'uscita del locale, la vista mi si stava offuscando sempre più e quasi non vedevo dove andavo. "Sta bene signore?" Chiese il pinguino, premuroso, con solo una impercettibile sfumatura di ironia nella voce.


Raggiunsi la strada col suo lancinante ronzio di insetti elettrici e l'imbocco del vicolo, poi non ricordo altro.


Mi sono svegliato parecchie ore dopo, rannicchiato dietro un cespuglio, vicino all'ingresso del vicolo. Era giorno, e la via era trafficata e viva. Nessun ronzio. Ero indolenzito e a pezzi, ma quella dormita deve avermi rigenerato almeno abbastanza da permettermi di alzarmi e reggermi in piedi.


Il Black Ice se ne stava di fronte a me, un vecchio edificio sfitto con una enorme insegna nera logora e scolorita. La via si estendeva da nord a sud, e la potevo vedere finalmente nella sua interezza, non più inghiottita dal nero innaturale della notte. I passanti, le auto e gli edifici... qui era tutto normale. Era assurdo, ma doveva essere una di quelle zone miracolosamente non invase dalle deformanti allucinazioni del Black Ice.


E la cosa più incredibile era che finalmente avevo capito dove mi trovavo.. su quella strada ci sarò passato almeno una ventina di volte da quando abito in questa città, ma non avevo mai notato né quel palazzo né il vicolo. E' anche relativamente facile da raggiungere in auto, almeno di giorno... forse anche di notte,chi lo sa, ma bisogna riuscire ad attraversare indenni quel buio. In effetti non che il parcheggio del Black Ice fosse molto affollato. Pensavo a ruota libera a queste cose mentre tornavo a casa.


Una volta arrivato mi buttai ancora vestito sul letto e dormii per quasi 24 ore un sonno profondo e senza sogni. E' successo due giorni fa. Le energie poco a poco sono tornate, ma la città la fuori è sempre meno reale e sempre più un incubo buio e lucido, la testa mi fa un male cane e lo stomaco brucia a causa del cibo scadente e gli eccessi di gin. Non riesco quasi a guardarmi allo specchio, e non riesco a chiudere occhio senza pensare a lei, al profumo dei suoi capelli, al suono della sua voce, al calore della sua pelle.


Devo mettere fine a questa storia. Lo farò stanotte, non posso più aspettare.


Escludo di scrivere altre pagine di questo diario, che probabilmente verrà divorato dai topi della stanza di fianco non appena si accorgeranno che il loro vicino umano se ne è andato per non tornare più.


Vado.




L'articolo di giornale
Attorno alle 4 della scorsa notte, un boato ha squarciato l'aria della nostra città. Il vecchio Solomon Building è quasi interamente crollato a causa di una violentissima esplosione verificatasi alla sua base.


Il palazzo, sede di una delle principali società d'assicurazioni della città fino agli anni 40, era disabitato dal 1972, anno in cui bruciò lo storico jazz club "Black Ice", che occupava i primi quattro piani dello stabile.


Dai primi elementi raccolti, pare che un vecchio furgone carico di tritolo sia stato scagliato a folle velocità contro l'ingresso principale del vecchio palazzo. Tra le macerie non sono stati rinvenuti resti umani, il che lascia supporre che l'attentatore non si trovasse sul mezzo al momento dell'esplosione.


Le lamiere del furgone, dilaniate e deformate dal calore dell'esplosione, difficilmente potranno fornire ulteriori elementi per le indagini.


Tuttavia su una delle fiancate del mezzo sono stati segnalati strani e profondi tagli che presentavano evidenti tracce di materiale cheratinoso sui bordi frastagliati. Come un enorme "graffio".


Naturalmente gli inquirenti non ritengono questi particolari di alcun rilievo nell'ambito delle ricerche, e noi con loro. A nostro avviso ora la domanda da farsi è perché questo insensato gesto? il raptus di un folle o speculazione edilizia creativa?



Epilogo
L'uomo guardava il palazzo esplodere e crollare, lingue di fuoco schizzavano dalle finestre in frantumi e la grande insegna bruciava luminosa nella notte stellata.


L'uomo sorrideva, ma una lacrima gli scendeva sulla guancia scarna, riflettendo l'arancio e il giallo brillante delle fiamme. Pensava ad una persona che non vedrà più, e pensava ad un futuro da ricostruire da zero.


Poco distante da lui, mentre si avviava in direzione del porto, non vide una piccola barchetta di carta. Stava scivolando su un rivolo d'acqua verso un tombino, ma si incastrò contro un rametto, e fu salva.

[racconto] - Vecchio Jazz e ghiaccio nero - Prima parte

In una camera d'hotel

Il mio nome lo ricordo ancora con chiarezza, ma non si tratta di un dettaglio molto interessante.


E' una delle cose che riesco a ricordare senza essermelo per forza scritto su un foglio di carta. Mi sono reso conto che ho iniziato a scrivere troppo tardi, e con poca regolarità. Molti ricordi sono ormai scomparsi, altri sono invece con ogni probabilità proiezioni deformate dei ricordi originali. Lo intuisco dai dettagli grotteschi, dalle incongruenze, dal fatto che è sempre notte, e piove costantemente. O forse non sono i ricordi ad essere deformati, ma la realtà stessa... non lo so più.


Questa camera d'albergo è uno schifo, me è il meglio che posso permettermi.


La muffa incrosta ogni parete. Dell'antica carta da parati gialla, decorata con un motivo di foglie rampicanti dorate, rimangono solo alcuni brandelli consunti. Lo specchio in stile liberty appeso sopra la piccola scrivania è opaco e macchiato, arrugginito. Sui lati si intuisce la sagoma di foto anticamente fissate alla cornice metallica.


Il pavimento è a rombi neri e bianchi, o forse è meglio dire giallastri.


Il lampadario è di quelli economici. Un filo elettrico che penzola dal soffitto con in fondo una lampadina grande come un pugno. Non ha mai funzionato. C'è una piccola abat-jour risalente credo ai primi anni 20 sopra il comodino, e poi c'è un vecchio armadio, con ogni probabilità dello stesso periodo. E' tutto terribilmente deprimente.


Ieri sera mentre facevo la doccia due scarafaggi sono usciti dallo scolo. Uno dei due era davvero enorme.


Odio gli insetti, li ho sempre odiati. La luce tremolante del neon luccicava sulla loro corazza viscida. Muovevano quelle loro piccole antenne e giravano in cerchio, esplorando il piatto di ceramica bianca della doccia.


Li ho guardati per un po', poi li ho ricacciati nel buco dal quale erano usciti, usando il getto d'acqua della doccia.


Non so perché ne parlo.


Mi sono poi coricato a letto cercando di prendere sonno, ma le fitte allo stomaco non mi davano tregua, e per quasi tre ore sono rimasto sveglio con gli occhi sbarrati fissando le incrostazioni del soffitto.


Giocando a riconoscere visi, animali e oggetti in quelle sagome indistinte come quando da piccolo, coricato nella soffice erba del giardino di casa, guardavo le nuvole rincorrersi nel cielo.


Ma non succedeva niente, le macchie rimanevano macchie, gli strappi restavano strappi.


Forse non avrei dovuto saltare ancora una volta la cena. E forse non avrei dovuto spendere gli ultimi spiccioli per quella bottiglia di gin scadente.


Alla fine mi sono addormentato.


Adesso sono le 10 di mattina, piove a dirotto da un po'. La luce che entra dall'unica finestra non murata della camera è di una triste sfumatura di grigio.


La città la fuori è un continuo ululare di sirene e le urla dei predicatori raggiungono anche il quindicesimo piano di questo vecchio palazzo, mescolate al ritmico scrosciare della pioggia.


Pensavo che forse continuare a scrivere non ha più molto senso, ma le vecchie abitudini sono dure a morire. Come me, mi verrebbe da dire.


Ma non mi illudo, alla fine è solo questione di tempo. Ne è passato tanto, troppo, ma almeno sarò io a decidere quando mettere fine a tutto.


E' una città strana questa. Appena ti allontani dalle luci e dal frastuono dell'uptown è facile perdersi.


Soprattutto se sei solo, quando le cose non vanno come vorresti, quando i tuoi affetti sono lontani, e quando l'orgoglio ti impedisce di tornare indietro. perché risulta più facile lanciarsi verso il baratro piuttosto che ammettere che non è andata, o forse è per non vedere la tristezza negli occhi di chi ti ama, di chi ti ha visto partire pieno di sogni e di fiducia.


E' triste che non abbia precisa memoria di quello che mi ha portato a ridurmi in questo stato, di come è iniziato tutto, ma come dicevo i ricordi del mio recente passato sono abbastanza frammentari e confusi.


L'unica cosa che so è che i miei sogni di diventare giornalista a qualche punto della mia vita devono essersi infranti. L'ho dedotto dalle raccomadate che ho trovato in un cassetto, risposte a mie richieste d'assunzione che con tono gentile mi informavano che il loro organico era al completo e che, ad ogni modo, non avrebbero assunto personale alla prima esperienza.


In fondo ad uno dei cassetti ho poi trovato la foto di una ragazza. Era strappata in due. Non c'erano lettere o altro che la riguardassero, ma doveva essere stata qualcuno di importante per me.


Parlo di queste cose come se si trattasse di ricordi di qualcun'altro, della vita di qualcun altro, ed è folle lo so.


L'unica cosa che ora so è che tutto è perduto, ed è doloroso, straziante. Qualche notte fa, pensando a questa situazione, la associai ad una immagine di me da piccolo, avrò avuto sette, otto anni.


Ero al paese dei nonni, un agosto di mille anni fa, ed era appena passato un violento acquazzone. Mio nonno mi aveva preparato una delle sue speciali barchette di carta: sapeva che adoravo farle veleggiare nelle enormi pozzanghere che si formavano nelle vie del vecchio quartiere residenziale.


Le sue erano barchette speciali: dopo aver dato la forma al foglio di carta prendeva una candela e l'accendeva. Poi con un piccolo pennellino prendeva la cera liquida che si formava attorno allo stoppino e la spalmava sapientemente sullo scafo, rendendole quasi impermeabili, e per me era favoloso.


Finita l'operazione mi diede la barchetta, sorridendo. Ero già vestito di tutto punto, con gli stivali di gomma rossa e quel ridicolo l'impermeabile giallo. Presi la barchetta e corsi giù dagli scalini saltandoli due a due. Ricordo ancora l'odore dell'asfalto bagnato, mescolato al profumo dell'aria fresca e dei pini del giardino. Correvo come un pazzo verso il quella che sarebbe stata sicuramente la più grande e bella pozzanghera di tutto l'isolato, quella che di solito si formava vicino all'incrocio. Non vedevo l'ora di posarla sull'acqua, per poi accucciarmi e scoprire che direzione avrebbe preso, quanto tempo avrebbe resistito, fino a dove si sarebbe spinta. E il giorno dopo in classe ne avrei parlato con i miei amici.


Ma correvo troppo forte, e non mi ero accorto di un piccolo pezzo di ramo davanti a me. Ci scivolai sopra, persi l'equilibrio e nello slancio della corsa caddi in avanti sull'asfalto bagnato e ruvido, sbattendo con violenza la testa. La botta fu tremenda, tanto da offuscarmi per qualche secondo la vista. Quando riuscii di nuovo a mettere a fuoco, vidi la barchetta a circa un metro da me. Era finita in un rigagnolo, e stava scivolando verso il tombino. Ricordo che urlai "NO!!" mentre cercavo di rialzarmi, ma mi faceva male il ginocchio e i miei movimenti erano esasperati e lenti, per la furia caddi di nuovo. Ricordo chiaramente il dolore dei piccoli sassolini che si conficcarono sotto il mento, il sapore del sangue in bocca, la sensazione degli occhi gonfi di quelle lacrime che sarebbero sgorgate di li a poco.. e la visione della piccola barchetta che raggiungeva il tombino, si incastrava per una frazione di secondo nella grata metallica, per poi inabissarsi giù, nel buio, senza che io potessi farci niente.


E' assurda la chiarezza con la quale sia riuscito a ricordare questi ed altri eventi del passato, considerato che stento a ricordarmi cosa ho fatto l'altro ieri. Ma ho constatato che è un processo degenerativo, quindi è ridicolo farsi illusioni pure su questo.


L'unica cosa che mi rammenta ancora che sono un uomo sono i ricordi... non voglio diventare una specie di zombie che si trascina per le vie della città senza sapere dove sta andando né perché. Devo prendere una decisione in fretta... dovevo forse prenderla tempo fa, lei mi aveva avvertito che ritardare l'inevitabile sarebbe stato solo peggio, ma non avevo ancora capito la gravità della situazione.


Come dicevo, quel poco che so del mio passato recente l'ho scoperto grazie ai fogli che ho trovato nei cassetti della scrivania dell'appartamento dove vivevo prima. Oltre alle raccomandate e alla foto strappata, trovai infatti quello che potrei definire il mio "diario". Immagino che possa far risalire l'inizio di questa storia ad un periodo vicino a quello in cui fu scritta la prima pagina del "diario", circa due anni fa.


Era una sera solitaria come tante, e me ne stavo nel mio modesto appartamento vicino al porto cercando di leggere un libro. Di giorno lavoravo in un magazzino. Non ricordo che tipo di magazzino fosse, né dove fosse, e neppure che mansione avessi, ma non importa. Non era un gran che, mi pagavano poco e saltuariamente, ma avevo un lavoro e non ero costretto ai vergognosi furtarelli che adesso mi permettono di mangiare di quando in quando e di pagare l'affitto al padrone di questa topaia. Un figlio di puttana.


Ecco quello che successe.




Foglio #1
Non ricordo come presi la decisione, ma poco prima delle dieci me ne uscii in strada, credo avessi semplicemente voglia di vedere un po' di gente.


Era una notte fredda, indossavo un pesante giaccone di pelle, una cuffia nera calata fin quasi sugli occhi e un paio di guanti. Le luci della città si riflettevano sull'acqua nera della baia. Davanti a me vedevo il grande ponte che collegava la parte sud della città con la parte nord. Era imponente, soprattutto visto dalla zona del porto.


Con la metro mi ci volle poco più di mezzora per raggiungere l'uptown. Mi tuffai nella folla: gruppi di ragazzi che ridevano e scherzavano tra loro, giovani e meno giovani coppie passeggiavano a braccetto, uomini d'affari con la ventiquattrore in una mano e il trolley nell'altra. La strada era un fiume di automobili lucide che riflettevano le luci dei locali alla moda, delle vetrine dei negozi e dei ristoranti. Il cielo sopra di noi minacciava pioggia, o forse addirittura neve considerata le temperatura glaciale, ma nessuno sembrava curarsene.


Vidi un pub gremito di gente, gestito da irlandesi (l'enorme arpa celtica che campeggiava sulla vetrata lasciava pochi dubbi a riguardo), e decisi di entrare. Mi sono sempre stati simpatici.


Quasi tutti gli avventori avevano gli occhi puntati verso un grosso schermo, davano una partita di calcio. Campionato, ovviamente, irlandese. Una delle due squadre era mi pare il Shelbourne, l'altra forse era quella dei Bohemians.


Dopo la terza birra mi scoprii accanito sostenitore della squadra con la maglia rossa e bianca, penso il Shelbourne. Vinse l'altra squadra, ma che importava? Ricordo che un ragazzone biondo che indossava una maglia rossa e bianca mi si avvicinò, con quella sua grossa faccia quadrata e affabile, mi diede una poderosa pacca sulla spalla mentre diceva qualcosa che, naturalmente, non ricordo. Ma ricordo che disse qualcosa al barista e pochi secondi dopo mi trovai in mano un bicchiere colmo di whiskey a brindare col simpatico sconosciuto, il primo di una lunga serie.


Devo essermi appisolato per qualche minuto sul bancone, e quando mi sono svegliato il locale stava già iniziando a svuotarsi. Nessuna traccia del ragazzo, solo alcune banconote stropicciate lasciate sul bancone.


Mi faceva male la testa, e avrei voluto ben vedere!


Chiesi al barista quanto gli dovevo ma fece un cenno che lasciava intendere che era già stato tutto sistemato. Mi rivolse un sorriso un po' triste, poi scomparve nel retro del bar, dove doveva trovarsi la cucina.


Notai vicino alle banconote alcuni biglietti, neri e con una scritta grigio scuro dai caratteri eleganti. Li aveva lasciati il barista? O forse era stato il ragazzo di prima?


Ne presi uno per esaminarlo, La carta era opaca, tranne in corrispondenza delle lettere, lucide.


Erano ingressi gratuiti (una scritta recitava addirittura "all-inclusive ticket") per un locale che si chiamava "Black Ice". Sul retro del biglietto un indirizzo, un numero di telefono e una piantina stilizzata. Poco più sotto una scritta in una scura tonalità di rosso recitava "L'ingresso è vietato ai minori di 18 anni".


Un night club.


Me ne stetti per qualche minuto col mento sul bancone, fissando il biglietto attraverso il vetro dell'ultimo bicchiere di whiskey irlandese che mi ero scolato. Da quando mi ero trasferito in quella città non mi ero mai avventurato in posti come quelli. Avevo scoperto che non facevano per me quando una sera di 15 anni prima, per il mio diciottesimo compleanno, alcuni amici mi avevano convinsero a lasciarmi andare ed entrare con loro in un piccolo night club di periferia.


Sembravano passati secoli da allora.


Mentirei se dicessi che non so cosa mi spinse a prendere uno di quei biglietti e ficcarmelo nella tasca del giaccone di pelle. Da una parte c'era pura e semplice curiosità fanciullesca, alimentata da tutto l'alcool ingerito quella sera. Dall'altra parte c'era quel costante senso di solitudine che mi stringeva il petto ogni notte di quell'infinito inverno.


Ma pensandoci ora c'era sicuramente anche altro, qualcosa che aveva a che vedere con l'autodistruzione, la negazione di se stessi. Un sentire più "decadente" che "punk" forse, ma la sostanza non era molto diversa. Niente nella mia vita andava come avevo sperato, per quanti sforzi facessi, e qualcosa dentro me doveva aver deciso che era inutile continuare a fingere. Tutto ciò che ero, tutto ciò in cui credevo, mi aveva portato a quel punto morto. Che senso aveva continuare ad essere me stesso?


Ma queste, come dicevo, sono considerazioni che faccio solo ora mentre scrivo su questo foglio di carta... seduto a quel bancone dovevo aver pensato semplicemente "perché no?".


Uscii dal locale, rigirandomi tra le dita quel biglietto. L'aria si era fatta più tesa, e fredda. Saranno state circa le 2 di notte e la città stava iniziando a svuotarsi. La mia testa era pesante, ma mi reggevo ancora più che dignitosamente in piedi. Era ora di rincasare e di lasciar perdere ogni stramba fantasia. L'indomani avrei dovuto svegliarmi alle 6 come tutti i giorni e sapevo già che sarebbe stata dura.


Mi avviai verso la fermata della metro, lasciando cadere il biglietto in un cestino a bordo strada.


Stavo già scendendo gli scalini della West End Station quando decisi che in fondo un giretto, per curiosità, avrei potuto anche farlo. Questione giusto di mezzora, per farmi un ultimo goccio in un luogo probabilmente più esotico di un pub irlandese qualsiasi, e poi me ne sarei tornato di corsa a casa.


Tornai sui miei passi, e trovai il biglietto sul marciapiedi a poco distante dal cestino. Dovevo essere decisamente brillo se non ero riuscito a centrare un cestino dalla distanza di 10 centimetri, ma tutto sommato meglio così, mi ero risparmiato una penosa ricerca tra i rifiuti.


Diedi di nuovo un'occhiata all'indirizzo e alla cartina: il locale si trovava a cinque isolati da li, non più di venti minuti di strada.


L'aria fredda della notte mi strizzava i sensi, aiutandomi a ritrovare un po' di lucidità. Non servì a molto, ma sempre meglio di niente. La strada e i marciapiedi erano decisamente meno affollati di prima. Le persone per bene erano già a casa, pensai mentre trattenevo una risatina stupida, alcolica.


Man mano che avanzavo, lasciandomi alle spalle la familiare e luminosa uptown per raggiungere il Black Ice vedevo le architetture mutare, lasciando il posto a vecchie costruzioni di inizio secolo. Le strade si facevano più strette, e un po' più buie, illuminate di quando in quando dal bagliore blu dei lampeggianti di qualche pattuglia della polizia che scivolava sull'asfalto nero e bagnato. Nessun inseguimento, solo lente ronde di controllo.


Giunto in quelli che pensavo fossero i pressi del locale dovetti tirare di nuovo fuori il biglietto e osservare bene la cartina per riuscire a trovarlo. Mi infilai in un dedalo di viuzze strette, illuminate poco e male da lampade fissate sugli altissimi muri in mattoni. Sembrava di trovarsi in un labirinto, avevo continuamente la sensazione di aver sbagliato strada, o di esser già passato più volte per lo stesso punto, ma alla fine ce la feci.


Spuntai in una larga via deserta: nessun passante, nessuna automobile, e i rumori della città arrivavano ovattati, lontani. I lampioni sul bordo della strada illuminavano la scena con una brillante luce bianca ma sulla linea elettrica doveva esserci qualche problema perché le estremità della strada erano al buio, letteralmente ingoiate dalla notte. Era un'atmosfera strana, essere da solo in quel posto non mi piaceva, eppure pareva non esserci nessun pericolo: non c'erano tossici o ubriaconi accasciati vicino ai lampioni, nessuna gang di delinquenti a caccia di prede facili, niente di niente.


Ma penso che fosse questa totale assenza di vita ad inquietarmi. E quel buio. Nel silenzio, mi pareva quasi di avvertire un ronzio, ma non capivo se proveniva dai lampioni o se era nella mia testa.


L'insegna del Black Ice campeggiava nera ed enorme sul muro dell'edificio che si stagliava di fronte a me. Un palazzo imponente, austero, vecchio, un fantastico esempio di architettura governativa di inizio secolo. Avrebbe potuto essere un vecchio ufficio del catasto, o una stazione di polizia. E adesso era.. beh era quel che era. Il cielo attorno al palazzo, illuminato nei piani più alti da alcuni faretti, era nero. Non blu, nero, e senza stelle, senza tracce delle altre luci della città, tanto da farmi dubitare per un attimo che ci fosse realmente una città dietro quel palazzo.


Attraversai la strada, e man mano che mi avvicinavo all'ingresso di quel vecchio palazzo il ronzio si faceva sempre più forte, quasi assordante.


Aveva qualcosa di elettrico, ma poteva ricordare anche il ronzio di certi sciami di insetti.


Avevo inoltre la sgradevole sensazione di essere seguito, di sentire dei passi, ma quando mi girai non c'era naturalmente nessuno, solo l'ingresso del vicolo dal quale ero sbucato, nero anch'esso come le estremità di quella via deserta e come il cielo di quella notte. Con ogni probabilità i passi che avevo sentito erano i miei.




In quel frangente pensai che avrei fatto meglio a lasciar perdere quel maledetto biglietto, che in quel momento avrei potuto essere nel mio appartamento, seduto sulla poltrona a guardare un film in attesa che la sbornia passasse. Perché iniziavo ad averne abbastanza di quel cielo nero, del freddo, del ronzio, di quella desolazione, e tutto quello che avrei voluto fare era andarmene.


Ma non me ne andai, naturalmente.


E' banale ridurre le motivazioni a semplice curiosità per quello che avrei trovato nel locale, c'era altro... in fondo tutto quello che avevo fatto quella sera portava con se un sottile senso di ineluttabilità. Semplicemente, dovevo entrare.


Un elegante tappeto rosso scuro arrivava fino alla colossale porta d'ingresso. Era di legno, con specchiature in vetro opaco decorate con eleganti motivi floreali, e aveva due grosse maniglie in ottone. Le toccai, e il ronzio scomparve immediatamente. Attraverso le ampie vetrate si intuiva l'atrio del locale, illuminato da luci soffuse, e nel rinnovato silenzio sentivo provenire dall'interno voci, risate, tintinnare di bicchieri e musica jazz, un vecchio standard suonato egregiamente.


Fermo, con le mani sulle grosse maniglie d'ottone, mi resi conto che il cuore mi batteva forte. Mi feci coraggio ed entrai.


La porta si chiudeva lentamente alle mie spalle, mentre venivo avvolto da un piacevole tepore profumato che sciolse in pochi secondi tutti i muscoli irrigiditi per il freddo e la tensione. Mi resi conto che anche la sbornia era quasi passata, lasciandomi come ricordo un lieve mal di testa pulsante.


Davanti a me un signore in abito elegante e i capelli impomatati mi diede il benvenuto da dietro un piccolo mobiletto che faceva da reception. Tutto attorno appesi ai muri c'erano foto in bianco e nero di splendide ragazze avvolte in pellicce o boa piumati.


Gli mostrai il biglietto. Mi disse che ero in ritardo, ma che avrei comunque potuto gustarmi il secondo spettacolo, che sarebbe iniziato tra una ventina di minuti. Sorrise e poi, accennando un leggero inchino, mi invitò a varcare la soglia del salone principale.


Ero frastornato: il lacchè, le foto in bianco e nero, le piante ornamentali...era tutto lontano anni luce da quello che mai avrei potuto immaginare di trovare in un locale notturno dei sobborghi di questa città.


Seguii il pinguino impomatato che mi accompagnò giusto per pochi passi nel salone principale, per poi tornare al suo lavoro. Ricordo che fui impressionato dalle dimensioni del locale: la struttura del salone ricordava quella di un vecchio teatro, ma era enorme, con un soffitto altissimo e quattro file di loggioni adornati da tende di velluto. Tutte attorno lampade in stile liberty, che illuminavano con luce fioca e calda il locale.


Alla mia destra un banco bar che sembrava non finire mai, con quattro barman impegnati a servire la clientela. Alle loro spalle, file interminabili di bottiglie poggiavano su mensole in cristallo illuminate ad arte che creavano favolosi giochi di luce.


Al centro del salone c'era un ampio palco leggermente rialzato. Immaginai che lo "spettacolo" si sarebbe svolto proprio li sopra. Fu una piacevole sorpresa scoprire che la musica non proveniva da altoparlanti, ma da una vera e propria band, che suonava poco distante dal palco. Avevano appena attaccato con un nuovo pezzo, qualcosa di Glen Miller questa volta.


Mi mossi in direzione del bar, non tanto per un reale desiderio di bere qualcosa, quanto per non continuare a rimanere fermo come un idiota davanti all'ingresso del salone.


Il locale era affollatissimo, tanto che faticai a trovare uno sgabello libero al banco. Ordinai una spremuta, e il barman mi scrutò per una frazione di secondo con uno sguardo tra l'interrogativo e il divertito, ma non fece obbiezioni.


Stavo iniziando a rilassarmi. L'aria seducente e sorniona di qul posto aveva in pochi minuti rimosso il ricordo dello strano mondo buio che stava la fuori...


Se mi fossi soffermato a pensare a come poteva essere arrivata li tutta quella gente, considerato il fatto che davanti al locale non c'era neppure l'ombra di un'auto, forse qualche campanello nella mia testa avrebbe tintinnato. Avrei anche potuto pensare che altri fossero arrivati a piedi come me, ma non sarebbe stata una scusa plausibile per tutti i clienti.


La sbornia sembrava essere ormai passata del tutto, e sorprendentemente non avevo neppure sonno. Controllai l'orologio, che segnava le 2:30. Mezzora, non mi sarei trattenuto di più.


Sorseggiavo il mio "drink" con le spalle rivolte al bancone, osservando ora con più attenzione la ricca clientela del locale e le bellissime ragazze che passeggiavano eleganti tra la folla, sorridendo maliziosamente a chi incrociava il loro sguardo.


I loro costumi di scena erano favolosi, sembravano provenire dal guardaroba di qualche studio di Hollywood. Leonesse, amazzoni con tanto di scudo e lancia, copie viventi di Greta Garbo, sacerdotesse egiziane, infermiere o antiche patrizie romane.


Molte di loro intrattenevano già le loro prede designate: in piedi vicino al bar o sedute sugli ampi divani in pelle che circondavano la pista, sorridevano, ammiccavano, discutevano amabilmente, abbozzavano il broncio se la vittima accennava a volersene andare, e si lasciavano scappare risate cristalline quando riuscivano a convincerla a restare, e magari a seguirle nei locali privati del locale lassù, nel loggione più in alto


Sorridevo tra me e me, perché per quanto curata, affascinante, eccitante, alla fine si trattava pur sempre di una farsa, dove ognuno recitava (più o meno coscientemente) la propria parte seguendo cliché vecchi forse 100 o 1000 anni.


E mi divertivo ad osservare la scena come se fossi un semplice spettatore, quasi come se io stesso non mi trovassi realmente li.


"Non per farmi gli affari tuoi ma... è succo d'arancia quello?"


Mi voltai in direzione della voce. Una ragazza aveva appena raggiunto il banco del bar per ordinare qualcosa da bere e mi stava rivolgendo un sorriso luminoso, dolce, in attesa di una risposta.


Ero impreparato, e fui in grado di balbettare solo un "si" malconcio. Era vestita da soldato russo, una divisa invernale della seconda guerra mondiale, grigio-verde, con tanto di cappotto, e mi chiesi come potesse non soffocare li dentro con tutti quei vestiti addosso. Aveva gli occhi azzurri e i capelli lunghi, mossi, color miele. Non aveva un filo di trucco, ed inutile dire che era bellissima. Ordinò anche lei un succo d'arancia.


Mi chiese se mi piaceva il locale, e se fosse la prima volta che venivo li. Parlammo del più e del meno, io le chiesi come si trovasse sepolta in quel costume di scena, lei mi parlò della band di musicisti del locale, e ridemmo un po'. Poi si fece seria. Guardò nel bicchiere semivuoto, e mi disse che non avrei dovuto essere li, che non avrei dovuto venire in quel locale. Credevo fosse uno scherzo e stavo per replicare, ma mi guardò negli occhi. Era seria, e aveva uno sguardo un po' malinconico."Ma ormai è tardi. Goditi lo spettacolo, ci vediamo tra mezzora ok?" Cercò di abbozzare un sorriso ma non fu molto convincente, e se ne andò.


Non capivo cosa intendesse, ed ero frastornato non so ancora se dalla sua bellezza, dal suono della sua voce o se da quell'ultimo sguardo triste. Ormai era chiaro che non ero più uno spettatore esterno, e che in quella farsa avevo un ruolo anche io.


Guardai in direzione del palco, e mi accorsi ora che tutto attorno ad esso erano stati disposti drappi rossi alti almeno un paio di metri. Un presentatore in frac, non molto alto e con i baffetti alla Clark Gable, illuminato da un fascio di luce forse un po' troppo forte, annunciò l'inizio del secondo spettacolo.


Le luci si abbassarono di colpo, e drappi caddero. Un'esplosione fragorosa inondò il locale, e in fondo al palco delle lingue di fuoco eruttarono dal cratere di un enorme vulcano alto almeno 3 metri. Pian piano faretti disposti ad arte illuminarono la foresta africana ricostruita ad arte. Arrivarono le leonesse, le cacciatrici, le indigene, le donne alligatore, e iniziarono le danze.


Non durò molto, ma fu uno spettacolo magnifico, con una grande carica erotica ma senza l'ombra di volgarità, e con effetti scenografici degni di uno spettacolo di Broadway. Si congedarono con un inchino, le luci si spensero di nuovo, e quando dopo pochi secondi si riaccesero era tutto tornato come prima. Nessun'ombra di vulcani, palme, pellicce o fucili per terra.


La ragazza tornò da me qualche minuto dopo. Aveva in mano un bicchiere pieno di una sostanza giallognola che sembrava whisky.


"Non preoccuparti, è solo succo di mela. Prendi, avrai sete: sono 10 minuti che tieni in mano quel bicchiere vuoto".


Risi di gusto, e la ringraziai. Il succo era fresco e dolce. Ci fù qualche attimo di silenzio. Poi distolse sguardo, concentrandosi sulla fila di bottiglie alle mie spalle, e mi disse "Sono venuta a prenderti, abbiamo ancora un po' di tempo prima che il locale chiuda".


La guardai e indicai l'ultimo loggione "Intendi lassù?"


Annuì, poi prese il bicchiere dalla mia mano e scolò l'ultimo goccio di succo. "Non hai altri impegni, o sbaglio?"


In un attimo fui letteralmente invaso da un turbine di sensazioni contrastanti. Provavo una sorta di euforia, una strana eccitazione mista ad imbarazzo, e qualcosa che assomigliava molto da vicino alla paura, e della quale non intuivo l'origine. Doveva essere una sensazione non molto diversa da quella che può provare un paracadutista al suo primo lancio nel vuoto.


Le dissi che no, non avevo altri impegni, e lei mi prese per mano, stringendola un poco. Scivolammo tra la folla diretti verso il retro del palco, alle spalle della band.


In fondo era per questo che ero venuto qui, no? La scusa dell'ultimo bicchiere in un posto esotico era la più banale che potessi raccontare a me stesso. La realtà è che volevo solo lasciarmi andare, provare finalmente sensazioni che non fossero rabbia o frustrazione per una vita che non andava esattamente come avevo previsto. Ed ero conscio dell'artificialità di tutto quanto, o se vogliamo della sua "teatralità", ma decisi che non me ne importava nulla.


Le scale in legno, a chiocciola, erano ripidissime e sembravano non dover finire mai. Arrivato all'ultimo piano dovetti fermarmi a riprendere fiato, e mi rincuorò vedere anche lei, ben più giovane di me, leggermente in affanno. Mi fece cenno di seguirla.


Camminavo in silenzio al suo fianco lungo un ampio corridoio semicurvo, che seguiva il profilo dell'atrio principale del locale. La musica e il vociare giungevano ovattati. Sulla nostra destra si trovavano gli ingressi ai vari settori del loggione, protetti da pesanti drappi di velluto rosso. Uno di questi, circa a metà corridoio, era aperto, e la ragazza entrò trascinandomi dolcemente per un braccio.


La stanza era illuminata da luci basse e calde, c'era un enorme divano con davanti un tavolino, con sopra un vaso di enormi fiori bianchi, una bottiglia dall'aspetto decisamente costoso e due bicchieri.


Chiuse con un rapido movimento le tende, legandole tra di loro con un grosso cordone dorato, e forse solo in quel momento compresi che li dentro eravamo soli, io e lei. Era ferma davanti a me, con la sua uniforme ancora ermeticamente chiusa come se fosse appena tornata da una ronda notturna nel gelo di Stalingrado. Se ne stava li ferma, nella penombra, sorridendo un poco, ed era bellissima. Tanto da farmi quasi dimenticare in che tipo di posto mi trovassi, chi fosse lei...e chi fossi io.


Mi avvicinai a lei, improvvisamente avevo voglia di stringerla. "Sei stato stupido, non avresti dovuto venire qui...questo... questo non è un posto per te." Disse queste parole con un tono dolce e rassegnato. Aveva detto una cosa simile anche giù, al bancone del bar. Ora come prima non capivo cosa volesse dire, ma probabilmente saperlo non avrebbe cambiato le cose.


Ormai le nostre labbra erano vicinissime, aveva un profumo meraviglioso. Ci sfiorammo, delicatamente, studiandoci un poco. Avvicinò le mie mani ai bottoni del suo pesante cappotto, invitandomi a slacciarlo, ed iniziammo a baciarci.


Sotto il cappotto indossava il resto dell'uniforme, e fu un compito tanto lungo quanto piacevole quello di sfilarle poco a poco tutti gli indumenti. Lei indossava ancora i pantaloni e gli stivali quando decise che era il suo turno.


Mi spinse all'indietro, facendomi cadere sugli enormi cuscini che si trovavano sul pavimento in moquette, facendo in modo che la guardassi dal basso verso l'alto. Aveva un seno magnifico, e i capelli color oro le scendevano morbidi sulle spalle. Mi aveva in pugno e lo sapeva. Ci baciammo di nuovo, in modo appassionato, e non eravamo ancora totalmente svestiti quando scivolai dentro di lei.


L'incubo iniziò alcuni minuti dopo, mentre eravamo ancora stretti l'uno all'altra. Vidi le luci della camera tremolare, vibrare, poi una visione agghiacciante. Mi trovavo in una vecchia stanza semibuia, su un letto di stracci luridi. Lei era li, le sue mani artigliavano ancora dolcemente la mia schiena, i suoi seni premevano contro il mio petto, i suoi occhi erano chiusi e stava gemendo col capo leggermente reclinato all'indietro. La sua bocca era sporca di una sostanza scura, che le scendeva in rivoli densi sul collo. Notai le due sottili lame bianche, anch'esse incrostate di quella sostanza, che uscivano dalla bocca. Due canini lunghissimi. Nella fredda penombra vidi che i suoi capelli erano neri e corti, e che la sua pelle era bianchissima, e segnata da vene violacee che pulsavano al ritmo del suo respiro.


Poi finì tutto, ed ero di nuovo nel lussuoso loggione del Black Ice. Ero coricato sui cuscini, coperto da un lenzuolo bordeaux, e lei era seduta alla mia destra, con le gambe strette al petto e mi guardava con la testa appoggiata sulle ginocchia.


Il mio respiro era affannoso, quello che avevo visto, qualsiasi cosa fosse, mi aveva terrorizzato. Mi tastai il collo e il petto in cerca di ferite, ma non ne trovai. Feci per dire qualcosa, ma lei appoggiò piano un dito sulle mie labbra. Poi si avvicinò.


Mi irrigidii, avevo paura. Ma appoggiò semplicemente le sue labbra sulle mie. Il panico si dissolse poco a poco. Mi abbracciò, e restammo così, in silenzio, per qualche minuto. Poi devo essermi assopito, e quando mi svegliai lei era già vestita di tutto punto, seduta sul divano. Mi guardava.


Mi rivestii anche io, e sempre in silenzio uscimmo da quella stanza. Giunti vicino alla scala mi disse che dovevo scendere da solo: il locale stava per chiudere e dopo una certa ora le era impedito di tornare nel salone principale. Ero già sul primo gradino quando mi disse "Vorrei non vederti mai più, ma so che non sarà così...", poi si voltò e la guardai avviarsi lungo il corridoio.


Nel salone principale c'era ancora parecchia gente, ma indubbiamente meno di prima. La band aveva appena finito di suonare l'ultimo pezzo, e si stava congedando.


Era ora di tornarmene a casa, non sapevo neppure che ore fossero. Pensai che probabilmente avrei potuto andare direttamente al magazzino... ad occhio e croce la fuori stava già iniziando ad albeggiare.


Mi avviai verso l'uscita, cercando di farmi strada nella la calca del locale. E poi capitò di nuovo: le luci tremolarono e per una frazione di secondo mi trovai in uno stanzone enorme e buio, con le uniche luci che provenivano da vecchie finestre che davano sulla strada. Tutto era decrepito, lercio, maleodorante. Sembrava che la folla che mi circondava non si fosse accorta di nulla. Quello che vedevo esisteva solo nella mia testa, oppure loro semplicemente non si accorgevano di nulla? Continuavano come se niente fosse a discutere, a scherzare, a ridere, a sorseggiare cocktail dai loro bicchieri, ma io vedevo che quei calici erano vuoti, opachi e rotti, che i loro vestiti erano logori almeno quanto i loro volti sorridenti ma segnati da sofferenze inenarrabili, da tragedie familiari, da sogni infranti, dalla solitudine, da vizi, da dipendenze.


Vidi tutto questo in una frazione di secondo, poi tutto tornò alla normalità.


Raggiunsi di corsa, spaventato, l'atrio d'ingresso del locale. Il lacchè mi rese il giaccone in pelle, e mentre mi augurava, sorridendo, la buona notte cercai sul suo volto quelle orribili vene pulsanti e quei denti aguzzi, ma non ne trovai traccia.


Uscii dal Black Ice, ed era incredibilmente ancora notte. Ancora nessuna auto, e ancora quella desolazione. Nessun ronzio, ma sapevo che era in agguato da qualche parte.


Mi tuffai senza pensarci nel nero minaccioso del vicolo dal quale ero arrivato: avevo paura e volevo solo mettere più asfalto possibile tra me e quel locale.


Non sapevo cosa avessi visto in realtà, ero propenso a credere che si trattasse di visioni indotte da un mix di stanchezza e alcool. Diedi la colpa anche agli incensi che profumavano gli ambienti del loggione: avrebbero potuto contenere oppiacei o sostanze simili.


Ma anche se fossero state solo frutto della mia immaginazione, che si è divertita a mescolare la realtà con immagini prese in prestito da horror di serie B, le cose che avevo visto avevano scavato nel profondo delle mie paure, raggiungendo luoghi che solitamente si visita solamente quando si è piccoli e si ha paura del mostro nascosto nell'armadio o sotto il letto.


Questi pensieri si affollavano nella mia mente mentre correvo a rotta di collo in quei vicoli tortuosi. Raggiunsi George Street dopo un tempo che mi sembrò infinito: avevo il cuore in gola, ero senza fiato. La milza sembrava voler esplodere da un momento all'altro e mi lanciava continue violentissime fitte di dolore.


Mi sedetti con le spalle al muro per riposarmi un poco, e mi resi conto che era giorno. Il campanile della chiesa indicava le 8:30, ed era una luminosa mattina d'inverno, di quelle che non si vedevano da tempo. Il marciapiede era invaso dalla folla che si recava a far colazione o al lavoro, il giornalaio di fronte si stava tirando la pelle e un vigile stava facendo attraversare la strada ad un gruppo di bambini armati di zaini colorati, cuffie e guanti.


Mi ci volle qualche minuto prima di riuscire a rialzarmi. Decisi di andare direttamente al magazzino, il capo sarebbe stato su tutte le furie ma non mi andava di nascondermi dietro un telefono.


Quando arrivai, quasi alle 10, cercai di scusarmi ma (come immaginavo) fui investito da un fiume di improperi e di urla, e dalla promessa che questa sarebbe stata la prima ed ultima volta: al prossimo sgarro mi avrebbe sbattuto per strada con un calcio nel culo.


Andai a cambiarmi nello spogliatoio, saltai sul mio muletto e feci il mio dovere fino alle 18 senza quasi fermarmi.


Credo che a tenermi sveglio fosse solo l'adrenalina causata da quello che avevo vissuto quella notte e dalla paura di perdere il posto di lavoro. E il pensiero di lei, che non mi abbandonò tutto per tutta la giornata. Quando tornai allo spogliatoio e aprii l'armadietto sentii il suo profumo ancora sui miei vestiti, e quello fu il colpo di grazia: ero indiscutibilmente terrorizzato da quel luogo, ma avevo già bisogno di rivederla, un bisogno quasi doloroso.


Me ne tornai a casa, buttai i vestiti nella lavatrice e mi feci una doccia bollente.


Presi dal frigorifero una birra e mi preparai un panino mentre guardavo alla tv la replica di una vecchia puntata di Friends.


Stavo cercando di mettere in un angolo i ricordi di quella notte da incubo e da sogno, e per quella sera funzionò.


L'adrenalina mi abbandonò all'improvviso poco dopo aver finito quella succulenta cena. Sprofondai sfinito nel mio letto e mi svegliai da quel sonno senza sogni solo alle 5 della mattina seguente.


Sono passate tre settimane da allora, e la forza di volontà sta avendo la meglio sul desiderio (folle, dissennato) di tornare al Black Ice. Penso ancora a lei, ma riesco a tenere a bada i ricordi.


Al lavoro sembra essersi tutto sistemato. Oggi nella pausa pranzo il capo si è complimentato per come ho risolto alcune problemi al magazzino centrale, e mi ha addirittura chiesto scusa per quella sfuriata.. quasi non credevo alle mie orecchie. Che le cose inizino finalmente a girare per il verso giusto?


Non ho mai tenuto un diario, semplicemente perché non ho mai trovato la mia vita tanto interessante da dover scrivere alcunché che mi riguardasse... ma quello che è successo quella notte è stato terribile e bellissimo, e credo di aver fatto bene a prendere in mano la penna per raccontarlo.


Chissà se rileggerò mai queste pagine?

[segue nel post successivo]