domenica 30 maggio 2010

Maggio 2010

Sono a pochi passi dalle rotaie... è notte fonda, ma la luce azzurrognola della luna, appena filtrata dalle nuvole, illumina la campagna attorno a me, scintillando sui binari e sulle assi di legno catramate. L'aria è piacevolmente fresca.
Nel silenzio il profumo dei tigli sembra più forte che di giorno, e si mescola a quello della terra umida, di piccoli fiori bianchi di cui ignoro il nome e dell'acqua che scorre nel fosso poco distante.
Mi godo questa solitudine come da tempo non mi capitava di fare, e mentre aspetto penso. Penso al mio futuro incerto, alle strade che ho abbandonato e sulle quali probabilmente non tornerò più a camminare, ma che mi mancano.
Penso a quell'anziano incontrato per puro caso, che ha voluto raccontarmi la storia della sua vita, e che quando gli ho stretto la mano prima di congedarmi, si è aggrappato alla mia guardandomi fisso negli occhi, come se cercasse di afferrare quella giovinezza che gli era scivolata via anni fa, poco a poco, senza che se ne accorgesse.
Penso alla madre che si è sfogata con me, per la perdita di suo figlio. Aveva la mia età, era da poco diventato padre. Tratteneva a stento le lacrime mentre mi versava il caffè nella tazzina.
Penso ai miei amici, anche loro incasinati come e forse più di me, e ai loro progetti folli.
Penso alla mia vita, ai sogni nel cassetto che devono essere finiti in fondo, dopo i boxer e le magliette.
Le rotaie iniziano a sibilare, prima impercettibilmente poi sempre più forte. Il treno è un lungo merci marrone, e sfila col suo passo pesante e ritmico a meno di due metri da me. Sento lo spostamento d'aria che odora di cherosene, ferro e lubrificante.
E' l'odore delle mie prime avventure nelle campagne attorno a casa mia, quando mi intrufolavo in vecchi depositi per trattori o salivo su vagoni abbandonati sui binari morti. Sorrido: sono sempre stato un orso solitario, anche allora.
Passa anche l'ultimo vagone. Mi inerpico sulla massicciata e mi siedo tra le rotaie, guardando le luci rosse allontanarsi verso l'orizzonte che inizia a tingersi di mattino. Con la mano sfioro uno dei binari, è rovente.
Sopra di me, assieme al cinguettio degli uccelli più mattinieri, sento un rombo sordo e familiare. Un grosso aereo di linea vola verso sud. Lo seguo con lo sguardo, chissà dove è diretto.

sabato 15 maggio 2010

Conversazioni di lavoro, chapter 2

Oggi giornata pessima. Ma cerco di riderci su, anche perchè l'alternativa è mandare personalmente a fanculo ogni singolo essere umano di questo pianeta, e sinceramente stasera non ho tempo.

Personaggi:
Io,
Appariscente quarantacinquenne che sembrava appena venuta fuori da "sex and the city" o una boiata simile

Lei: Vede, non mi capisce. La casa è splendida lo so, ma per me la questione della cucina è fondamentale.
Io: Si comprendo signora, però purtroppo l'architetto...
Lei: Senta, me ne intendo di design, vedo che l'architetto ha fatto un ottimo lavoro, ma la cucina così com'è non va bene, è troppo, troppo piccola. Ma lo sa che tavolo ho io?
Io: (con sorriso moderatamente sfanculatore): Spero non troppo grande, altrimenti dovranno scoperchiare la casa e calarlo dall'alto
Lei: Guardi, a questo punto conviene che mi faccia parlare direttamente con l'architetto. Voglio dire, lo capisco che per lui questo muro è importante, ma per me rappresenta un problema!
Io: Ehm, signora, temo abbia frainteso... non ho detto che quel muro è importante, ho detto che è portante!
Sempre io: (ridendo dentro, tanto) Nel senso che se lo togliamo, temo che avremo qualche seria difficoltà col secondo piano.

E stavo per aggiungere, "sempre che lei non voglia dare alla casa un tocco 'a la Baghdad, si intende".

mercoledì 12 maggio 2010

Did you know?

Un video interessante e ben realizzato. La colonna sonora di Fatboy Slim (Right here, right now) calza a pennello.




Arrivederci.

mercoledì 5 maggio 2010

L'alba

Una serata passata sulla spiaggia, c'era una festa, c'erano fiaccole e gente che rideva. Il ricordo sta già sbiadendo, e sono passate solo poche ore.
La camera squallida di un vecchio hotel, la luce giallognola dell'abat-jour, il letto ancora sfatto dal pomeriggio. Non ricordo neanche più il suo nome, ma che importa, forse neppure me l'aveva detto. Sono seduto davanti ad un vecchio scrittoio, residui di sabbia ancora tra le dita dei piedi, indeciso se farlo di nuovo, o meno.
Ma in realtà la decisione l'avevo già presa quando sono montato in auto per venire fino a qui, anche se ancora non sapevo dove sarebbe esattamente stato, il qui. Sapevo solo che volevo il mare.
Vado alla finestra, e la apro. Da qui si sentono le onde, ho scelto questa topaia proprio per questo motivo. Le dita tremano attorno al tappo nero, il solito miscuglio di terrore ed eccitazione, sono secondi che sembrano durare secoli, ma in realtà è questione di pochi minuti. Il liquido scende giù per la gola, brucia, e contemporaneamente lo sento insinuarsi nel mio cervello, stringendolo prima come una morsa, e facendolo poi esplodere in mille scintille luminose. Ogni volta il cortocircuito è più forte, un giorno mi sarà fatale lo so, ma non mi importa più nulla da mesi ormai.
Riesco a fatica a raggiungere il letto, mi corico sulle lenzuola ancora madide del sudore del pomeriggio, e nel momento esatto in cui la testa sfiora il cuscino vengo investito da un turbine di sabbia digitale, grigia e finissima, interferenze elettrostatiche invadono il mio campo visivo, e il mondo attorno a me si squarcia. Nuvole color piombo scorrono velocissime sopra di me, mentre a piedi nudi sulla spiaggia mi avvicino al molo. Le onde si infrangono rabbiose sulle assi di legno nero, e il vento denso di sabbia mi rende difficile respirare, come se stessi avendo una terribile crisi d'asma.
C'è un vecchio aborigeno, in piedi, in fondo al pontile. Indossa un frac elegante, di una o due taglie più grandi della sua, e tiene in mano dei fogli, all'altezza del petto. Mi sorride, e quando mi avvicino inizia a far scorrere questi fogli, uno dopo l'altro.
"Perchè sei qui?" recita il primo foglio. Provo a rispondere, ma la mia voce viene igoiata dal frastuono del vento e delle onde. Il secondo foglio dice "Tempo". Il vecchio mi sorride, ma è un sorriso triste, malinconico. Negli altri fogli vedo un funerale, io che piango, ho i capelli grigi. E capisco, mentre una fitta di dolore mi attraversa il costato. Vedo una vecchia casa, abbandonata. Il prato dove da piccolo giocavo con i mei fratelli invaso da erbacce e vecchi pneumatici bruciati. Il dolore al costato si fa ancora più forte, insopportabile. Poi vedo una foto di mia nonna, che mi tiene in braccio orgogliosa. Avrò avuto 2 anni. Non ce la faccio, cado sulle mie ginocchia, e mentre le mie unghie si aggrappano alle assi fradice inizio a piangere. Sento la mano del vecchio sulla spalla, è un tocco lieve e allo stesso tempo tremendamente forte. Sull'ultimo foglio c'è scritto Ama. "E' l'unica cosa che conta veramente", mi dice, prima di andarsene.

Mi sveglio, ancora tremante... le lacrime hanno il sapore salato del mare. Scendo le scale, è l'alba. Uno degli inservienti dell'hotel mi saluta, mentre esco a guardare il sole. E' ora di tornare a casa.