sabato 30 giugno 2012

Ricorda quando mi amavi [Green grass, Tom Waits]



Posa il capo dove una volta c'era il mio cuore
Fa che la terra non mi cada addosso
Coricati nell'erba verde
Ricorda quando mi amavi.

Vieni vicino, non essere timida
Fermati sotto questo cielo piovoso
La luna è già sopra l'orizzonte
Pensami quando un treno passerà.

Togli i cardi e i rovi
E fischia piano quella canzone
Ora sono solo un ricordo
Che galleggia dentro di te.

Resta nella mia ombra
Le cose ora sono fatte di me
La banderuola sul tetto dirà...
Che c'è profumo di pioggia oggi.

Dio ha preso le stelle e le ha scagliate nel cielo
E' impossibile distinguere gli uccelli dai fiori
Non ti libererai mai di me
Lui farà di me un albero.

Non dirmi addio
Descrivimi ancora il cielo
E se dovesse caderci addosso, segnati le mie parole
Andremo assieme a caccia di uccelli.

Posa il capo dove una volta c'era il mio cuore
Fa che la terra non mi cada addosso
Coricati nell'erba verde
Ricorda quando mi amavi.

Tom Waits - Green grass

Ho provato a tradurla al meglio, prendendomi solo qualche piccola licenza. Splendido il testo, magistrale l'interpretazione. Concentrandomi sulla traduzione, sono quasi riuscito a non commuovermi, stavolta...


Testo originale
Lay your head where my heart used to be
Hold the earth above me
Lay down in the green grass
Remember when you loved me

Come closer don't be shy
Stand beneath a rainy sky
The moon is over the rise
Think of me as a train goes by

Clear the thistles and brambles
Whistle 'Didn't He Ramble'
Now there's a bubble of me
And it's floating in thee

Stand in the shade of me
Things are now made of me
The weather vane will say...
It smells like rain today

God took the stars and he tossed 'em
Can't tell the birds from the blossoms
You'll never be free of me
He'll make a tree from me

Don't say good bye to me
Describe the sky to me
And if the sky falls, mark my words
We'll catch mocking birds

Lay your head where my heart used to be
Hold the earth above me
Lay down in the green grass
Remember when you loved me

sabato 23 giugno 2012

Con una rosa

Probabilmente è anche questione di gusti, come quasi tutto del resto.
E come per i vini, così per la poesia non sono di certo uno dei massimi esperti del settore... tuttavia quando ne assaggio uno particolarmente buono, o ne sento una che sa conficcarsi nel cuore in profondità e con stile, lo e la so riconoscere.


Con una rosa hai detto
vienimi a cercare
tutta la sera io resterò da sola
ed io per te
muoio per te
con una rosa sono venuto a te

bianca come le nuvole di lontano
come la notte amara passata invano
come la schiuma che sopra il mare spuma
bianca non è la rosa che porto a te

gialla come la febbre che mi consuma
come il liquore che strega le parole
come il veleno che stilla dal tuo seno
gialla non è la rosa che porto a te

sospirano le rose nell'aria spirano
petalo a petalo mostrano il color
ma il fiore che da solo cresce nel rovo
bianco non è il dolore
rosso non è l'amore
il fiore solo è il dono che porto a te

rosa come un romanzo di poca cosa
come la resa che affiora sopra al viso
come l'attesa che sulle labbra pesa
rosa non è la rosa che porto a te

come la porpora che infiamma il mattino
come la lama che scalda il tuo cuscino
come la spina che al cuore si avvicina
rossa così è la rosa che porto a te

lacrime di cristallo l'hanno bagnata
lacrime e vino versate nel cammino
goccia su goccia, perdute nella pioggia
goccia su goccia le hanno asciugato il cuor

portami allora portami il più bel fiore
quello che duri più dell'amor per sé
il fiore che da solo non specchia il rovo
perfetto dal dolore
perfetto dal suo cuore
perfetto dal dono che fa di sè

Con una rosa hai detto
vienimi a cercare
tutta la sera io resterò da sola
ed io per te
muoio per te
con una rosa sono venuto a te

bianca come le nuvole di lontano
come la notte amara passata invano
come la schiuma che sopra il mare spuma
bianca non è la rosa che porto a te

gialla come la febbre che mi consuma
come il liquore che strega le parole
come il veleno che stilla dal tuo seno
gialla non è la rosa che porto a te

sospirano le rose nell'aria spirano
petalo a petalo mostrano il color
ma il fiore che da solo cresce nel rovo
bianco non è il dolore
rosso non è l'amore
il fiore solo è il dono che porto a te

rosa come un romanzo di poca cosa
come la resa che affiora sopra al viso
come l'attesa che sulle labbra pesa
rosa non è la rosa che porto a te

come la porpora che infiamma il mattino
come la lama che scalda il tuo cuscino
come la spina che al cuore si avvicina
rossa così è la rosa che porto a te

lacrime di cristallo l'hanno bagnata
lacrime e vino versate nel cammino
goccia su goccia, perdute nella pioggia
goccia su goccia le hanno asciugato il cuor

portami allora portami il più bel fiore
quello che duri più dell'amor per sé
il fiore che da solo non specchia il rovo
perfetto dal dolore
perfetto dal suo cuore
perfetto dal dono che fa di sè


Vinicio Capossela - Con una rosa

L'onironauta

Il casco che ho in mano è nero, ha una finitura satinata, la visiera scura. La moto è sportiva ma non esasperata nelle linee... è arancione, probabilmente giapponese, 4 cilindri, a occhio da 200 cc l'uno. Salgo, accendo il motore premendo un pulsante e avverto una pacata aggressività nascosta tra le pieghe di quel suono pastoso, baritonale e accomodante. Non riesco a ricordarmi quando ho preso la patente, non so neppure se quella moto è mia o meno, ma non importa. Scendo verso la strada, allontanandomi dal muro bianco di recinzione di una grande villa. Oltre quel muro, enormi alberi proiettano la loro ombra sull'asfalto. Il colore delle foglie e la forma dei rami suggerisce che potrebbero essere ulivi, ma sono altissimi e più slanciati. Fa caldo, ingrano la prima marcia e sento il vento caldo avvolgermi. Accelero, la strada è sgombra e l'asfalto è nero e liscio. Le curve sono docili, i pendii delle colline dolci e io assaporo ogni piega dosando la giusta quantità di gas, mai esagerando, godendomi lo spettacolo del cielo azzurro che filtra tra i rami degli alberi e il profumo delle foglie che si intrufola nel casco.

Diventa improvvisamente sera, cade addosso al sogno come un pesante drappo di velluto blu scuro, e mi trovo a bordo della mia auto. E' ancora nuova, come 10 anni fa, e sto guidando su una delle vie principali della città, semideserta. Cerco di andare piano, ma l'auto continua accellerare come un cavallo imbizzarrito, e io provo a controllarla giocando con lo sterzo e con il cambio, ma finisco ogni volta contro un muro. Gli schianti sono violenti, rumore di lamiere piegate, vetri infranti e schegge di muro che picchiettano sul parabrezza. Ogni volta prendo fiato, faccio una piccola retromarcia, e provo a rimettermi in strada, prestando la massima attenzione alla pressione del mio piede sul pedale.
L'illusione di governare finalmente l'auto dura solo pochi secondi: il motore sale ancora di giri, vertiginosamente, io provo a lasciare il pedale ma è tardi e di nuovo uno schianto, questa volta sul lato opposto della strada. E ancora, e ancora, prima a destra, poi a sinistra. Io non sono ferito, non sento dolore, ma il mix di frustrazione e rabbia e impotenza per non riuscire a tenere l'auto in strada è soverchiante.

La città finisce, e l'auto sembra tornata ad essere docile. Guido su una strada di campagna che ho percorso mille volte, ma i pioppeti ora sono mangrovie. La luna nel cielo è piena e illumina l'asfalto lucido, tanto che potrei quasi guidare a fari spenti. C'è un ponte che passa sopra un canale di irrigazione, una sorta di piccolo fiumiciattolo dove da piccolo andavo a pescare assieme al mio più grande amico. E' scomparso quando aveva solo 20 anni, e ogni volta che attraverso quel ponte penso a lui.
Di fianco al ponte, prima dell'inizio della foresta di mangrovie, c'è una bettola con un grande portico sul fronte, illuminato da insegne al neon colorate. Ceres, Bacardi, Corona, Marlboro, i colori vibrano nella notte. Grossi insetti svolazzano e si friggono dentro un'enorme trappola elettrica, emettendo scariche blu. Entro. Dietro il bancone un gigante di colore sta pulendo alcuni bicchieri. Cammino sulle assi di legno. Una ragazza mulatta è seduta su uno sgabello, il gomito appoggiato vicino ad un bicchiere. Mi invita a sedere accanto a lei. Dal bicchiere esce un vapore lattiginoso che mi ricorda da vicino le finte pozioni di Zio Tibia, effetti speciali da film di serie B. Le chiedo cos'è quell'intruglio, mi risponde che è Kleren. Ne ordina uno anche per me, lo bevo. Il sapore è buono, dolce e non troppo alcolico, ma la testa inizia a girare. Non tanto, solo un po'. Allunga la mano e la appoggia sul mio ginocchio. I jeans sono sporchi di sangue, forse è il mio. Forse non mi sono accorto che nell'incidente in auto in realtà...
La ragazza ha occhi verdi bellissimi, mi chiede se mi va di divertirmi. Appoggio la mia mano sulla sua e la ringrazio per l'offerta, ma ora devo andare. Dove vai, mi chiede, sta con me. Ma mi sono già alzato... pago l'intruglio con alcune monete enormi, sembrano dobloni, ed esco.
Salgo nell'auto, che ora sembra non aver mai avuto incidenti, lucida come appena uscita dalla concessionaria. Vi si riflettono sia la luna che le insegne del locale. Un enorme granchio, con un corpo del diametro di almeno trenta centimetri e zampe e chele lunghissime è aggrappato alla maniglia e si muove lento, con piccoli scatti tipici di quelle creature che ho sempre trovato vagamente aliene. E' rosso scuro sopra, biancastro sotto. L'idea di toccarlo con le mani per spostarlo da li mi da il voltastomaco, e sento il sapore di quel liquore voodoo risalire dalle viscere. Provo coi piedi ma non riesco, poi con un ramo strappato alla mangrovia più vicina. Ci si aggrappa, lo lancio a qualche metro di distanza. Che schifo. Finalmente salgo in auto.
Squilla il telefono, mi chiedo chi possa essere a quest'ora della notte. Quando lo prendo in mano, la chiamata è già stata accettata. E' una videochiamata, vedo il fondo di una stanza. L'inquadratura è dal basso. C'è una pianta sulla sinistra, e una abat-jour sul fondo diffonde una calda luce ambrata. La ragazza entra nell'obbiettivo, sembra stia sorridendo ma non ne sono sicuro... si sta spogliando, forse va a farsi un bagno o una doccia. Intravedo il seno, si accarezza piano. Poi lo stringe, con più forza, facendo scivolare le dita sui capezzoli. Non so se chiudere o meno la chiamata. La conosco? Credo di si. Anzi, decisamente si... Se non sta facendo apposta non è leale, dovrei forse avvertirla, chiudere subito la chiamata e... ma è bellissima.
Con la coda dell'occhio noto un movimento sotto il portico del locale. Appoggiato allo stipite della porta c'è l'enorme barista, le braccia muscolose incrociate sul petto. La parte inferiore del suo corpo è ancora umana, mentre quella superiore ora è.. un pesce. Mi osserva, o così mi pare, dai due enormi pozzi neri, inespressivi ma allo stesso tempo placidi, che sono i suoi occhi.
Esce anche la bella mulatta, sta fumando una sigaretta. Si appoggia all'altro stipite, un rapido cenno di intesa con l'uomo pesce, e poi si gira verso di me. Con la mano libera solleva un altro bicchiere di quell'intruglio, come a brindare alla mia salute, e mi fa l'occhiolino.  Il fumo del kleren le scende lungo il braccio, lo seguo con lo sguardo, si dissolve poco prima di toccare le logore assi del pavimento.
Sento una risata divertita, dal suono cristallino. Viene dal telefono. Riesco a vedere per una frazione di secondo la ragazza, ancora nuda, in ginocchio davanti alla telecamera. La sua mano si avvicina all'obbiettivo, clic, nero, è ora di svegliarsi.


lunedì 18 giugno 2012

Di puglia, di edera e di finestre su cortili


Vedete questa foto? Forse non è un gran che, ma ritrae un istante di assoluta perfezione... mi trovavo nella campagna pugliese a poche centinaia di metri dal mare, in una giornata splendida, respirando il profumo di quegli arbusti cotti dal sole e la brezza che arrivava dalla costa, sentendo sulla pelle ogni raggio sparato da quella enome palla di idrogeno infuocata che brucia a 150 milioni di km da noi, pronto ad intrufolarmi in un rudere pericolante per scattare foto in compagnia forse dell'unica persona sulla faccia della terra che avrei voluto con me in quel momento.

Un momento in cui mi sono sentito finalmente lontano da quella melanconia che mi marca stretto da tempo, e che di giorno riesco solitamente a tenere a bada... mentendo anche un po' a me stesso, ma chissenefrega, tanto è il mio subconscio che fa tutto.
Poi ritorna. Mi succede più spesso di mattina presto, quando mi trovo ancora tra il sonno e la veglia, oppure poco prima di andare a letto... i pensieri iniziano ad aggrovigliarsi ed ad arrampicarsi come edera su un muro che una volta era solido come la roccia, mentre adesso avverto pericolosamente in bilico.

Il tempo che scivola via troppo velocemente, i miei genitori che invecchiano tra mille preoccupazioni che non meritano, nuove rughe sul mio viso che sorride poco, l'incertezza del lavoro, l'assenza di alternative... è come se tutta la realtà di fronte a me stesse appassendo, ed io con lei. E quello che mi fa sorridere (amaramente) è che si tratta di cose assolutamente normali, capitano a tutti e a molti capita di molto peggio...di questi tempi poi. E allora perchè diamine mi faccio schiacciare da queste banalità?!

“Hai bisogno di una vacanza Ste.” Aveva ragione chi me lo diceva, e in cuor mio lo sapevo bene... ho temporeggiato giusto un paio d'anni poi ho ceduto. Eh ho i miei tempi, lo so, e se ci aggiungiamo che ultimamente è il portafoglio a dettare il ritmo degli svaghi... ci siamo capiti.

Ad ogni modo era vero, avevo bisogno di quella vacanza, e ho goduto di ogni singolo chilometro percorso su quelle strade dissestate, e di ogni respiro. Ho perfino resistito alla tentazione di eliminare fisicamente due o tre animatori del villaggio, quindi dovevo essere particolarmente rilassato, a livelli quasi tibetani.

Poi, una sera, un pittoresco figuro a metà strada tra un imbonitore televisivo, una macchietta di paese e un indovino da luna park, dopo avermi venduto una bottiglia di liquore artigianale niente male, inizia a parlare di economia, di vita, di sentimenti, di segni zodiacali (!), di come dovrebbero andare le cose, a fare domande... e ci sono cose che so bene, le ho imparate a memoria, le ho minuziosamente tatuate su ogni neurone, tuttavia quando le senti hanno ancora la stessa forza, e i pensieri ricominciano ad arrampicarsi sul muro assieme a tutto il resto.

Col tempo ho imparato a rialzarmi più velocemente e a continuare a far finta di nulla, ma certo la cosa funziona se chi ti sta di fianco non ti conosce come le sue tasche e percepisce le variazioni della forza in modo quasi sovrannaturale (questo si che non è leale, altrochè scattare foto "a tradimento", di nascosto come il tizio de La finestra sul cortile).
Mi auguro solo di essere stato “un dito ar culo” il più breve tempo possibile... in caso contrario, spero mi perdonerà.

La vacanza è finita, il rientro nel mondo reale è stato tutto sommato meno scioccante di quanto pensassi, e in questi giorni l'edera sembra non essere così ansiosa di arrampicarsi di nuovo sul mio muro, anche se credo si tratti solo di una tregua. Vedremo.

Nel frattempo continuo a fare sogni assurdi che tanto assurdi non sono, con Freud che se la ride sotto i baffi, accontentandomi per ora di osservare tutto, un po' anche la mia vita, come il James Stewart voyeur nel Film di Hitchcock di cui sopra, anche se sicuramente con molta meno classe, e con qualche bicchiere da whiskey vuoto in più sul tavolo.


venerdì 1 giugno 2012

Spettri

Mentre mi allontanavo da loro, da casa, guidando attraverso la campagna su strade buie e deserte, la strana e cupa sensazione che ho provato per tutta la giornata si è fatta più forte, più densa. La luna era offuscata da un velo di umidità che le dava un'aria spettrale, e gli alberi ai bordi della strada, con le loro fronde cadenti stracariche di foglie, sembravano troppo neri in lontananza, e troppo vicini all'auto quando gli abbaglianti arrivavano ad illuminarli, quasi come volessero... si, esattamente come in quel racconto di King. L'aria dolce che filtrava dal finestrino semiaperto sapeva, non chiedetemi come faccio a saperlo, di Lousiana e di paludi sconfinate.
Suggestioni filmiche, suggestioni letterarie... sono stanco, e quando capita spesso quei mondi si rovesciano nel mio.
Il terremoto, le distanze, gli anni che volano, le incertezze... mi hanno sfiancato. Vado a letto, sperando di riuscire a dormire.

Meno male che domani, con un po' di fortuna e un po' di altro, so che mi verrà naturale sorridere. Ma questa è un'altra storia...