giovedì 6 novembre 2014

Still life


Still life
è quella che in italiano, in campo fotografico o pittorico, definiremmo “natura morta”.
Sarà pure solo una questione  semantica, ma il fatto che in terra d'Albione la locuzione sia costruita sul concetto di vita anzichè quello di morte, me la rende decisamente più piacevole.

Still life come il bel film inglese ma con regista italiano che ho visto ieri sera, e che mi ha portato con troppa facilità alle lacrime, in più di un'occasione.
Un racconto rigoroso e allo stesso tempo terribilmente partecipe della vita di un mite impiegato comunale, addetto alla ricerca dei parenti prossimi di persone morte in solitudine.
Una persona gentile e sola che cerca di ricostruire le vite di defunti altrettanto soli ed invisibili partendo da fotografie, dischi e lettere ritrovate in stanze sporche, ingombre di bottiglie di gin vuote e panni messi a stendere su termosifoni.
Telefonava ai parenti più prossimi, chiedeva se volessero salutare per l'ultima volta loro padre, loro zio, la sorella, e il più delle volte la risposta era no. Questa cosa riusciva a straziare tanto  il piccolo burocrate quanto me. Perchè comunque, sempre, ce la metteva tutta, arrivando perfino ad inventare e scrivere elogi funebri per funerali ai quali partecipavano solo lui, il parroco e il defunto.

Still life come un fermo immagine della mia vita in questo momento. Sta tutto succedendo velocemente, anche se non so bene ancora cosa esattamente stia accadendo, e se alla fine tutto questo turbinio di viaggi, incontri, ansie e risate -perchè si, ci sono state parecchie risate, in situazioni che avrebbero suggerito tuttaltro- porterà a qualcosa o meno.
Potrebbe non cambiare niente, e le probabilità in questo senso sono molto alte.
Ma potrebbe anche cambiare tutto, e sarebbe qualcosa di repentino. Potrei dovermi trasferire in un paese straniero, dover cambiare lavoro per l'ennesima volta, dover imparare una lingua nuova che potrebbe essere quella dei maledetti mangiarane, o quella dei mangiacrauti, o quella dei mangia risoepesceealghedelcazzoebasta.
In ogni caso, forse si intuisce, preferirei una delle prime due ipotesi.

Fatto sta che questa cosa sta evolvendo in fretta, eppure mi sembra di nuotare al rallenty in un vaso di glicerina densissima, e vedo tutto scorrere come in un rallenty ad altissima definizione di un documentario della BBC.
Vedo ogni dettaglio e sono tantissimi, troppi, così tanti che non capisco più il senso dell'azione in generale, posso solo intuirlo. Ma forse è la fretta, il desiderio che questi due, tre mesi passino velocemente per capire se e cosa succederà alla mia vita il prossimo gennaio.

E quindi c'è azione, c'è movimento, ci sono cose da fare e cose da imparare. E ho fame di tutto questo “possibile” perché sono rimasto fermo per troppo tempo nello stesso punto. Girando vorticosamente su me stesso, sprecando una marea di energie per nulla o quasi. Per quattro anni... e quattro anni sono un periodo lunghissimo. Devo svuovere le acque, deve succedere qualcosa, lo devo alla mia vita.

Eppure tuttavia sento la necessità di fermarmi un attimo per prendere fiato. Non chiedo molto, e non saprei neppure a chi chiederlo se non a me stesso, e so di non potermi permettere anni sabbatici e periodi di riflessione zen sotto salici piangenti, ma sento che ne avrei davvero bisogno.
Still significa fermo, ma vuol dire anche calmo, tranquillo. Come un lago d'inverno, con la superficie liscia e a malapena increspata dalle onde, e la foresta verde scuro che lo circonda, e la foschia leggera che si solleva dal terreno, e attraversa le fronde dei pini per fondersi con nuvole basse e grigie e che profumano di pioggia.
Mi immagino seduto su una panchina ad osservare per ore questo spettacolo, con le braccia intirizzite dal freddo, da solo, sorridendo un po' all'idea della cioccolata calda che mi farei appena tornato a casa.

Da solo.

Perchè  questo è quello che sono, un orso solitario. Che si innamora di rado, o che forse si è pefino dimenticato come si fa. E che per non far soffrire nessuno, o il meno possibile, rinuncia a grandissime parti di se stesso... ritardando l'inevitabile e il giusto, onesto, doloroso passo. E diventando  un rarissmo esemplare di “Ursidae Coglionis”.

Sto ascoltando un vecchio disco dei Dire Straits, e finisco di scrivere questo pezzo sulle note di Planet of New Orelans.
Ho il sapore aromatico di Grand Marnier sulle labbra e negli occhi le immagini del lago, della foresta di pini e della nebbia che sale in sinuose volute attono alle strutture in ferro battuto, un po'Art Nouveau e un po' creole, di quella città della Louisiana che probabilmente non vedrò mai... e le palpebre si fanno sempre più pesanti.

Vado a letto. E' stata una giornata pesante, ma dopo mesi sono finalmente riuscito a rimettere le mani su questa tastiera. Mi è mancata.

Buonanotte