domenica 27 settembre 2009

Racconto #12

Un titolo non mi è venuto... dateglielo voi, se volete :-)

Io e Michele eravamo amici fino dall'infanzia. Poi ci siamo persi di vista per molto, molto tempo, quando per lavoro, dopo l'univeristà, ha deciso di trasferirsi a Milano.
Era bravo, e in pochi anni anni si era guadagnato un ruolo di una certa importanza all'interno di una grossa multinazionale francese, di quelle che non ne hai mai neppure sentito parlare, con interessi nel settore dell'energia, dei diamanti, dell'acqua, delle armi...
Poi si era sposato, e aveva avuto una figlia. Mi mandava una mail di quando in quando, promettendo che un giorno sarebbe passato a trovarmi, dicendo che mi avrebbe fatto conoscere sua moglie (era certo che mi sarebbe piaciuta), e che sua figlia da poco nata era la cosa più bella che gli fosse mai capitata. Poi il silenzio. Quasi 3 anni di silenzio. Tramite amicizie comuni avevo scoperto quello che era accaduto, e ne fui devastato,
L'azienda aveva chiesto a Michele di trasferirsi per qualche mese in Zimbabwe per seguire la nascita di un nuovo progetto. Naturalmente, avrebbe potuto portare con se la sua famiglia, avrebbero abitato in una graziosa villetta all'interno di un ex-residence inglese.
Durante la seconda settimana di permanenza la figlia di Michele si ammalò. Scoprirono così che soffriva di un grave deficit immunitario, e qualcosa nell'aria o nell'acqua di quel luogo aveva scatenato all'interno della piccola una reazione violentissima, qualcosa di molto simile al colera. Arrivarono dottori dall'Europa, ma il giorno prima del trasferimento aereo per Parigi, la bambina morì.
Michele e sua moglie tornarono a casa, e dopo pochi mesi si separarono. Michele cercò rifugio nel superlavoro, in qualcosa che gli tenesse corpo e mente il più possibile impegnati...fu in quel periodo che iniziò a far uso di droga. Cocaina durante la settimana, per resistere a giornate di 16 ore lavorative, ecstasy e merda simile nel fine settimana, quando si rintanava nei night club o nelle lussuose case d'appuntamenti del centro.

Tornò a Mantova 11 anni dopo che era partito. Si presentò logoro e sfatto davanti alla mia porta una mattina di settembre, senza dire una parola. Aveva solo un sorriso amaro che gli increspava gli angoli della bocca. La Jaguar nel parcheggio era ridotta come e peggio dei suoi vestiti, ma probabilmente non puzzava altrettanto.

Entrò, e mi raccontò tutto, inclusi i dettagli che le voci che mi erano arrivate avrebbero potuto riportare. Non lavorava più per la multinazionale, aveva deciso di dare una svolta alla sua vita. Ora faceva il consulente freelance per una compagnia di assicurazioni, ed era felice, si, tutto sommato era felice. Incredibile quante bugie una persona riesca a raccontarsi per sopravvivere, pensai. Pianse parecchio. Io lo guardavo, ma non riuscii a dire una parola. Non mi parlò della droga. Gli dissi che poteva fare una doccia e che potevo prestargli dei vestiti. Non aveva bisogno di vestiti, ma una doccia l'avrebbe fatta... era appena arrivato in città quella mattina, e doveva ancora mettersi alla ricerca di un appartamento.
Gli dissi che non avrebbe fatto fatica, gli appartamenti sfitti erano tantissimi: le nuove leggi razziali avevano costretto cinesi, brasiliani, nordafricani, indiani e la popolazione di colore ad abbandonare le proprie abitazioni, e Mantova - come tante altre piccole cittadine del nord e del centro - si era praticamente svuotata. Girando per le vie del centro, di sera si aveva l'impressione di trovarsi in una città fantasma.

A Milano la sperimentazione doveva ancora partire, il congresso aveva deciso che si sarebbe iniziato dai piccoli centri per poter studiare meglio e in sicurezza gli effetti del Piano. La fase di test era iniziata 2 anni fa, e si sarebbe conclusa l'anno prossimo. L'esodo degli sfollati era gestito dall'esercito e dall'ONU, che organizzavano i trasferimenti verso i paesi del secondo e terzo mondo su grosse navi cargo attrezzate per permettere la sopravvivenza dei passeggeri per tutta la durata del viaggio, che poteva durare parecchie settimane.
Avevo cercato di reperire su internet altre informazioni, ma le norme antiterrorismo sempre più severe avevano da tempo isolato i principali siti di informazione libera. E così ci toccava sorbirci le solite palle sparate a reti unificate dai telegiornali di partito. Things have changed, cantava in una vecchia canzone Bob Dylan... .

Mantova è stata ufficialmente , ma in periferia e nella nuvola di frazioni e piccoli paesi che circondano la città la musica è diversa: da li i "negri" non se ne sono mai realmente andati. Così come i cinesi e i rumeni, e tutti gli altri. La polizia non è ancora riuscita a fare piazza pulita in quei ghetti, o forse non ha mai voluto farlo veramente. Girano molti soldi, da quelle parti, e le forze di polizia non sono certamente famose per la loro rettitudine morale. Case da gioco, bordelli, puttane agli angoli delle strade, bar aperti fino alle 6 del mattino, spacciatori seduti sui gradini delle chiese abbandonate.
Per pochi spiccioli puoi avere tutto quello che vuoi: cocaina tagliata con atropina, una puttana con la sifilide, una coltellata nello stomaco. Tutto quello che vuoi, basta chiedere.

Michele uscì dalla doccia, vestito con un paio di jeans e una camicia recuperata dal baule della Jaguar. Gli chiesi se voleva fermarsi per il pranzo, ma mi disse che doveva iniziare a cercare un posto dove sistemarsi. Ci scambiammo il numero di cellulare, con la promessa di trovarci una sera per bere una birra in un pub del centro. Ci salutammo, e per qualche mese non ebbi più notizie di lui.

Una sera della scorsa settimana stavo uscendo dal supermercato, e lo vidi attraversare di corsa il parcheggio per salire su una vecchia sgangherata Fiesta rossa del 2000, e partire di gran carriera verso la tangenziale che porta fuori città.
Che fine aveva fatto la Jaguar? Aveva la barba di parecchi giorni, e il suo guardaroba non sembrava migliorato dall'ultima volta che l'avevo visto.

Non so cosa mi è preso, ma ho deciso di seguirlo. Ho buttato le due borse della spesa nel baule, acceso il motore, e mi sono tuffato all'inseguimento della Fiesta rossa. Doveva spingere a tavoletta per andare a quella velocità, il vecchio motore urlava tanto che potevo sentirlo dal finestrino aperto della mia auto, nonostante mi tenessi a parecchi metri di distanza per non essere notato. Guidava come un pazzo nel traffico, e per non perderlo ho rischiato quasi due incidenti, ma ce l'ho fatta.

Uscì dalla tangenziale nei pressi di un vecchio megastore abbandonato, e lo seguii a ruota. Poco più in la, le prime luci del ghetto, di uno dei ghetti. Rallentò il passo e aumentai la distanza tra me e lui, senza perderlo d'occhio. Parcheggiò davanti una vecchia casa, di quelle costruite quando i nostri bisnonni erano ancora bambini e giocavano a nascondino nei pioppeti vicino al grande fiume.
Scese e suonò il campanello, qualcuno aprì la porta che subito gli si chiuse alle spalle. Le luci al secondo piano erano accese.

Era una bella serata di metà settembre, fresca e umida ma con una bella luna nel cielo. Me ne stavo seduto in auto, il motore acceso, con gli occhi puntati su quella porta. Non succedeva niente. Le finestre illuminate erano aperte, ma da dove ero io non si riusciva a vedere nulla. 10 minuti, e ancora niente. Forse erano amici, ed era passato a trovarli. Balle, nessuno ha amici da queste parti, mi sono detto: sapevo benissimo cosa l'aveva spinto a venire qui. Non so ancora bene se quello che ho fatto è stato motivato dal reale desiderio di proteggere Michele da se stesso, o se dalla semplice necessità di sfogare il carico di adrenalina accumulato prima nell'inseguimento e poi nell'attesa, fatto sta che ho spento l'auto e sono sceso. La strada era deserta, c'era solo qualche gatto che rovistava nei bidoni delle spazzature stracolmi.

Valutai l'ipotesi di suonare il campanello e di entrare come fossi un normale cliente, ma non sapevo niente di quel posto. Avrei potuto trovarmi una pallottola nel fegato solo per non aver saputo la parola segreta o cazzate del genere, preferivo evitare. E adesso trovo quasi divertente questo mio scrupolo, considerando l'enorme cazzata che avrei comunque fatto di li a pochi minuti.
Sul fianco della casa una vecchia scala antincendio portava fino al secondo piano, sotto una finestra con la luce spenta, forse il bagno.
La scala era rotta e arrugginita, e arrivava a circa 2,5 metri da terra. Per arrivarci dovetti prima salire sul rampicante che avvolgeva fitto parte del muro della casa, pregando che fosse abbastanza robusto.
Dopo aver rischiato di cadere almeno tre volte, riuscii a raggiungere la finestra ed entrare in casa. Effettivamente era il bagno... dal corridoio giungevano voci confuse, riconoscevo però un accento francese imbastardito di un paio di uomini, e la voce di una donna un po' impastata. Bene, da quel momento in poi non avevo più un piano. Non che la prima parte assomigliasse, anche vagamente, ad un piano, comunque.

Starmene li non aveva senso, decisi di entrare in quella che sembrava essere la sala principale. Sul divano rosso in fondo alla stanza, se ne stavano i due algerini che avevo sentito parlare prima. Tranquilli e rilassati, mi guardavano sorridendo. Sulle loro gambe, tenevano laidamente appoggiate due pistole di medio calibro, cromate. "Entra, coglione. E' mezzora che fai un baccano infernale per salire quassù,ormai credevamo che non ce la facessi". Seduto su una poltrona, a sinistra, un energumeno con lineamenti balcanici stava dormendo. Aveva un fucile a canne mozze appoggiato al bracciolo della poltrona.

Quello di destra scoppiò a ridere. Mi guardai attorno. Una bella ragazza con i capelli biondi, vestito da sera, se ne stava mezza coricata su un divanetto con lo sguardo al cielo. Uno specchio con polvere bianca appoggiato sul tavolo vicino, e un laccio emostatico al braccio destro. Una grassona nigeriana gli stava iniettando qualcosa in vena. C'era un bambino di colore, avrà avuto si e no 3 anni, che giocava li vicino con delle costruzioni. Il figlio della grassona, probabilmente.

"Se stai cercando il tuo amico, è nell'altra stanza che se la sta spassando". Entrai nella stanza di destra e vidi Michele coricato su una specie di futon. Gli occhi chiusi, anche lui con un laccio emostatico al braccio e la siringa, vuota, sulle lenzuola. "Ciaoooo, sei venuto a trovarmiiiii" mi disse con voce strascicata. Mi sentii svenire. Una ragazza nuda vicino a lui, si stava preparando una striscia di coca su un piccolo vassoio argentato. "Ciao bello, anche tu dei nostri? Vieni qui con me che ci divertiamo un po'... il tuo amico non si è dato molto da fare per tenermi su di giri stasera".

Non riuscivo a dire niente, non riuscivo a fare niente, ero immobile. C'erano altre stanze in quella casa, una parte del mio cervello si chiese quanta gente si stava uccidendo attorno a me.

Una mano sulla spalla, era uno dei due algerini, quello grosso. "Allora, amico. Ti piace lo spettacolo? Tu che vuoi, ero? Ecstasy? Oppure mdma, speed, ketamina, lsd... no, tu sei più uno da Brown-brown, vero? E mi pianta davanti la faccia la canna della pistola. La polvere da sparo, dico, meglio con la coca che con un proiettile no?

"Sono venuto per prendere il mio amico" La voce mi tremava, cosa cazzo c'ero venuto a fare qui? Sentivo l'adrenalina pompare il sangue nelle vene con una forza incredibile. "Però forse, un po' di mdma prima di andarmene..." E cercai di sorridere. L'algerino mi sorrise di rimando, scoprendo denti bianchi come la ceramica dei cessi degli autogrill.
"Bravo ragazzo, così si ragiona!" E mi diede una pacca sulla spalla. Si infilò la pistola nella cintura, dietro la schiena, e si voltò verso il suo socio chiedendogli dove cazzo aveva messo l'mdma". Presi la pistola e lo spintonai, facendolo cadere bocconi.
Puntai la pistola sull'algerino che se ne stava ancora seduto sul divano. L'ho preso alla sprovvista, la pistola gli è caduta per terra e ora se ne stava con le mani alzate e lo sguardo stupito. Lo slavo seduto sulla poltrona si era svegliato e aveva imbracciato il fucile con un riflesso condizionato, ma aveva l'aveva lasciato subito appena visto la mia pistola spianata.

"State fermi, FERMI!!"

Arretrai verso la stanza dove stava Michele, senza voltarmi e tenendo l'algerino sotto tiro. L'altro era ancora a terra con le mani sulla nuca. "Michele alzati cazzo, andiamo ANDIAMO."
"Nnooooo, io sto bene qui. Hai visto Elisa? E' quella nuda qui di fianco. Ha un culo da favola, non trovi? Lisa, ti presento il mio amico..." La ragazza mi guardava con gli occhi sgranati, il naso ancora sporco di polvere bianca.
Il mio sguardo andava dagli algerini ad Michele e poi di nuovo agli algerini, i miei movimenti erano quasi spastici, me ne rendevo conto. E mi rendevo conto che questo empasse non poteva durare molto a lungo, dovevo andarmene al più presto. Michele mi guardava imbambolato. "Hai una pistooooooola, beeeella!! E' tutta lucida, lucida lucida...." e poi scoppiò a ridere. Ho pensato "Fanculo, stattene qui a crepare, io me ne vado".

Rientrai nella sala principale, tenendo sotto tiro a turno tutti e tre. Il bambino piangeva, la grassona se ne stava a guardami con lo sguardo sornione di quello che tanto dove vuoi che vada.

Trovai la porta che dava sulle scale che portavano all'ingresso, e sempre tenendo la pistola puntata sui 3 pericolosi coglioni, me ne andai. Feci gli scalini due a due, di sopra si stavano muovendo, e sentii il primo sparo appena misi la mano sulla maniglia della porta del piano di sotto.

Corsi come un disperato verso l'auto, l'accesi e misi in moto. I 3 erano scesi, inferociti, uno di loro iniziò a spararmi contro. Le ruote dell'auto si aggrapparono all'asfalto e schizzai come un fulmine verso di loro.
Un proiettile colpì il cofano, poi gli fui sotto e si scansarono di lato. Un altro colpo, a vuoto stavolta. A velocità folle attraversai il ghetto, per arrivare al raccordo che porta alla strada statale. Conosco queste zone come le mie tasche, non avrei avuto problemi a seminarli se avessero deciso di inseguirmi. Cosa che fecero. Giunto sulla statale, vidi nel retrovisore le luci di un grosso fuoristrada avvicinarsi a gran velocità verso di me.

Che cazzo di auto avevano? Ero a tavoletta e continuavano a guadagnare terreno. I paesi lungo la statale sfrecciavano ai miei lati mentre scansavo le auto che ingombravano la strada. Il traffico aveva rallentato gli inseguitori, ma non li avrebbe fermati.

Arrivai nei pressi del ponte che attraversa il Po. A fanali spenti, svoltai a sinistra lungo l'argine che fiancheggia il grande fiume, sperando di non essere visto. La luna illuminava fiocamente l'asfalto, e a velocità ridotta riuscivo a procedere anche senza i fari. Non so come, ma intuirono che avevo preso quella stradina: in pochi secondi i fari del fuoristrada mi illuminarono, uno sparo, il lunotto in frantumi.

Accesi di nuovo i fanali e spinsi il pedale dell'accelleratore fino a toccare il fondo. La strada era piena di curve, e l'asfalto era reso viscido dall'umidità della sera. Faticavo a tenere il controllo dell'auto, ma conoscevo bene queste strade e anticipavo le curve con la stessa lucidità di quando, secoli prima, giocavo ai videogame con mio fratello. Li staccai di qualche centinaio di metri. Poi una transenna: argine interrotto CAZZO!
Sulla sinistra, una strada sterrata scendeva dall'argine inoltrandosi nella campagna, e mi ci infilai senza quasi rallentare la corsa. Il terreno era accidentato, le piogge avevano creato quasi delle voragini in mezzo alla carrettiera. La ruota anteriore destra si infilò in una di queste buche, facendomi perdere il controllo dell'auto. Rumore di vetri in frantumi, lamiere che si contorcono e il ruggito del motore che spingeva ormai a vuoto. L'auto si era cappottata due, tre volte nel campo, evitando di poco i grossi cipressi che fiancheggiavano il viale.
Uscii frastornato e sanguinante: un taglio sul braccio, e il naso mi faceva un male incredibile, ma almeno ero vivo, per adesso. I fari del grosso fuoristrada stavano scendendo dall'argine, tra pochi secondi sarebbero stati qui. Mi allontanai dall'auto, e iniziai a correre tra le sterpaglie. Uno enorme specchio d'acqua davanti a me rifletteva la luce della luna, e una sottile nebbiolina ne offuscava la superficie. Ero esausto, e per una frazione di secondo pensai al mostro della laguna, quello del film in bianco e nero, e me lo figurai uscire da quella risaia limacciosa. Trattenni a fatica una risata isterica. Michele, ma vaffanculo.

I 3 erano scesi dall'auto, li sentivo urlare ma non capivo cosa stessero dicendo.
Nulla di interessante per me credo. O magari si, mi avevano inseguito solo per avvertirmi che la luce della targa non funzionava. Sotto stress il mio cervello elabora solo idiozie, a quanto pare.
Continuavo a correre fiancheggiando la risaia, e forse avevano visto la mia sagoma nera in contrasto con l'acqua e la nebbia rischiarate dalla luna. Spari nella mia direzione, uno, due, tre, quattro. Suoni diversi: la pistola, il fucile a canne mozze, una pistola più grande. Correvo, correvo tanto da non sentire più le gambe. Cambiai strada, prima a destra, poi a sinistra, mi tenevo basso, nel tentativo di seminarli.
Poi di fronte a me, un terrapieno, e oltre il terrapieno una grossa costruzione bianca, alta forse una ventina di metri e delle dimensioni di un piccolo campo da calcio, illuminata da potenti fari. Lo riconobbi, era il vecchio macello per il quale lavorava mio padre anni e anni fa. C'erano camion, li attorno. Alcuni bestiame, alcuni col cassone ermeticamente chiuso. Alcuni camionisti e dipendenti del macello discutevano rilassati davanti all'enorme portone di ingresso. Potevo andare da loro e chiedere aiuto, ma non credevo potesse essere una grande idea. Quelli erano grandi e grossi, ma gli altri erano armati. Avrei solo tardato di qualche decina di secondi la mia esecuzione. Decisi di rimanere nell'ombra, di avvicinarmi al capannone e di intrufolarmi all'interno. Non pensavo sarebbero entrati per cercarmi, e comunque avrei avuto a disposizione molti più nascondigli la dentro che fuori. Senza contare che avrei potuto recuperare un telefono, e chiamare aiuto.

In lontananza sentivo le voci dei 3 inseguitori, si stavano avvicinando... dovevo sbrigarmi ad entrare. Scavalcai il terrapieno e raggiunsi i muro esterno del grosso capannone... girai attorno all'edificio fino a quando trovai una porta di servizio. Era aperta ed entrai.

L'odore di carne macellata era fortissimo, quasi nauseante. Davanti a me, una catena automatica fitta di mezzene squartate si muoveva a intervalli regolari. Start-stop. Start-stop. Andai in un'altra ala del complesso.
Quello che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene. Una catena esattamente identica a quella di prima. Ai ganci erano però attaccati esseri umani, o quanto meno quello che ne restava, visto che come per il bestiame erano privi di interiora. Però avevano ancora la pelle. Uomini, donne, quasi tutti di colore, di quando in quando qualche orientale e qualche caucasico. La catena andava avanti, Start-stop-Start-stop, e le teste di quei poveri disgraziati ciondolavano avanti e indietro, come se stessero ballando uno di quegli insulsi balli da capodanno da fare in trenino, con stupidi cappelli in testa e il bicchiere di prosecco da 4 soldi in mano. A sinistra, mucchi di essere umani ancora da "trattare", divisi per colore della pelle e per sesso.

Non riuscivo a credere ai miei occhi, ero pietrificato. Era questo il "Piano di evacuazione"? E le navi cargo, e l'ONU... era tutta una farsa? Cazzo, saranno stati almeno cinquecento, seicento corpi ammassati.
Mi tornarono alla mente le immagini dell'olocausto, in bianco e nero, coi tedeschi che spalavano i cadaveri nelle fosse comuni con le ruspe.

E qui che ci fanno con questi corpi? Cibo per cani, per gatti, per noi altri umani? Mi sono sentito svenire.

Poi uno sparo, e delle urla. Mi sono nascosto dietro una cassa di legno.
"Chi cazzo sono questi 3?"
"Sono armati, attenti!"
"Stiamo cercando una persona, un uomo che secondo noi è entrato qui. Lo troviamo, lo prendiamo e ci leviamo dalle palle, tranquilli, non vogliamo creare casini"
"'Scolta Franco, a te ti sembrano dei nostri ?"
"Haha, a me pare di no"
"Davvero, non facciamo casini, troviamo lo stronzo e ce ne andiamo"
"Voi non andate da nessuna cazzo di parte"

Poi quattro, cinque spari. Rumore di corpi trascinati.

"Mettili sul carrello e portali con gli altri. Guarda se hanno dei soldi nei portafogli che stasera ci andiamo a divertire, e brucia i documenti."
"Haha, dobbiamo chiedere ai capi il premio produzione, tre pezzi di merda in meno per le nostre strade"
"Avresti mai detto che lavorare per l'ONU sarebbe stato così divertente?"

Aspettai un tempo che mi parve infinito, poi quando attorno a me sentii solo silenzio, raggiunsi la porta e scappai.

Non ho mai parlato di questo con nessuno: nel migliore dei casi nessuno mi avrebbe creduto, nel peggiore sarei finito anche io appeso a uno di quei ganci.

L'altra sera, alla TV, davano uno speciale sulle nuove navi cargo realizzate per la seconda fase del Piano. Mi sono messo a ridere, poi a piangere. Menzogne.

Di Michele non seppi mai più nulla. Probabilmente è morto di overdose in qualche merdoso buco del ghetto, ma mentirei se dicessi che me ne importa qualcosa. Things have changed.

lunedì 21 settembre 2009

Il gioco delle somiglianze

Negli anni, come capita penso un po' a tutti, mi è capitato di raccogliere numerose impressioni e pareri riguardanti la mia somiglianza, vera o più verosimilmente presunta, con parecchi personaggi famosi.
Ne elenco qualcuno solo perchè, chi mi ha conosciuto dal vivo, possa farsi qualche grassa risata.
A fianco riporto una mia sintetica valutazione

1) Christopher Lambert (e giuro, la ragazza non era ubriaca)
2) Chuck Norris (E la prova che i miei amici sono stronzi -e invidiosi-)
3) Nick Nolte (Eh? Solo perchè entrambi sembriamo degli orsi?!)
4) James Hetfield (Nel periodo capelli corti, pizzo e occhiali da sole avvolgenti, forse un po' in effetti)

Per ultima tengo una mirabolante new-entry: mi avevano già detto che gli somigliavo (per movenze da yeti, forse), però non ho dato retta al parere fino a qualche sera fa, quando ho visto quell'attore recitare in "State of play", bel film consigliato da una cara amica.

Naturalmente il suo look era studiato per la parte, e rispetto ha me ha almeno (spero haha) una quindicina di chili in più, ma giuro che per un attimo sullo schermo mi è parso di vedere me stesso. E poi sono scoppiato a ridere :D






Il nome dell'attore faccio anche senza riportarlo, no?

sabato 19 settembre 2009

Qualche riflessione sull'amicizia... un post nato su carta

Qualcuno ha detto che i veri amici non sono quelli che ti sono vicini nel momento del bisogno (o per lo meno, non solo), sono anzi quelli che ti dimostrano la loro amicizia anche quando hai successo, quando le cose ti girano bene.
E nonostante  "successo" e "le cose che ti girano bene" siano  un concetti decisamente relativi, che variano anche di parecchio in base alla prospettiva di chi guarda, penso ci sia molto di vero in questo pensiero.

Sono concetti relativi perchè in un modo o nell'altro, tra noi e chi ci osserva c'è sempre una lente deformante (che in teoria dovrebbe essere tanto meno deformante quanto più l'amicizia e la conoscenza dell'altro è grande) e, soprattutto, ciò che si vede è spesso solo la superficie delle cose, il risultato finale.

Un esempio stupido: un vecchio amico ti vede con la racchetta mentre vai a giocare a tennis e pensa "Guardalo li, il vip, una volta veniva a giocare a briscola con noi e adesso fa il fighetto e va a giocare a tennis." Ma il vecchio amico non sa che a tennis ti ha detto di andarci a giocare il dottore, per curare che ne so, la sciatica.

Si lo so che dal punto di vista medico avrò detto una castroneria, e che l'esempio era parecchio stupido, ma era per farvi capire. Avete capito no?

Ad ogni modo, io ho questi due vecchi amici che da quando si sono sposati mi ricordano sempre più due vecchie suocere pettegole e rompiscatole, nei miei confronti più che altro.
E ogni volta che li vedo (capita ormai raramente, visto che gli impegni lavorativi e matrimoniali di tutti non agevolano le reunion), sembrano salire di una tacca nella scala "scassamaroni".

Voglio dire, sono 3 mesi che non mi vedi e la prima cosa che mi dici, prima di "ciao" è "Heiii, hai cambiato gli occhiali eh? Eh quando ci sono i soldi..."

L'altro, a distanza di pochi minuti, inizia a raccontarmi (con sorriso malcelato) che ha visto la mia ex al consultorio col suo nuovo fidanzato. E che, eh pare proprio che sia così, è incinta!

Deve essere rimasto deluso dalla mia non-reazione, e infatti ha provato a stuzzicarmi ancora, fino a quando è arrivato il cameriere con le pizze, IDDIO sia lodato. Probabilmente avrebbe voluto vedermi andare su tutte le furie, o sprofondare in un mare di tristezza... ma che diamine di reazione vuoi che abbia? Contento per lei, ok, ma alla fine dopo tutto sto tempo è quasi come ricevere informazioni su una sconosciuta. Davvero ti aspettavi che avrei urlato il suo nome al cielo?!

Insomma, le battute e gli scherzi goliardici in amicizia ci stanno, ma quando ripetutamente chi dovrebbe essere tuo amico non fa altro che cercare pretesti per metterti in imbarazzo, per irriderti, per toccarti sul vivo.. beh, qualcosa si rompe.

E poi non li capisco i motivi di questo comportamento... sembrerebbe quasi invidia infantile o qualcosa del genere. Invidia per che cosa poi non so, ma qui si torna al discorso della lente deformante.
Mi sono chiesto se invece (non che sia molto meglio, in realtà) non fosse a causa del loro status di "uomini con famiglia e prole", grazie al quale in qualche modo si sentono investiti del diritto/dovere di giudicarmi e criticarmi, visto che rappresento un po' la loro nemesi (almeno ai loro occhi).

Ma a questo punto, dico io, sarebbe divertente per me passare al contrattacco, e far notare ad esempio all'amico nr 1 che a 30 anni, uscire di sera vestito come l'ultimo dei cretini alla festa della terza media (pantaloni in felpa, paille del '92 semilucida, mocassini scamosciati e marsupio) sia una cosa ampiamente oltre i limiti del visivamente sostenibile e del ridicolo.

Oppure all'amico nr 2 che la sua cara mogliettina, dalle lunghe gambe e dal breve cervello, riuscirebbe molto meglio nella parte dell'angelo del focolare se alle cene evitasse di fissarmi in continuazione, quando non la sta guardando lui.

Si, credo sarebbe divertente. Rischierei di perdere due amici, però...

Ma in realtà, e ci sto pensando ora mentre scrivo, loro non conoscono nulla di me. La cosa triste è che se in tutti questi anni non hai ancora capito chi sono, ha dunque senso fingere che esista ancora un legame, in memoria delle risate sui banchi di scuola o delle vacanze passate assieme?

A costo di sembrare insensibile, direi... anche no.

martedì 8 settembre 2009

Things have changed...

Un uomo preoccupato con un animo preoccupato
Non ho nessuno di fronte a me e nessuno dietro
C'è una donna sulle mie ginocchia e sta bevendo champagne
Ha la pelle bianca e gli occhi da assassina
Guardo su verso il cielo color zaffiro
Vestito di tutto punto, aspetto l'ultimo treno
Me ne sto sulla forca con la testa nel cappio
Da un minuto all'altro mi aspetto che si scateni l'inferno
La gente è fuori di testa, i tempi sono strani
Sono chiuso in una gabbia, mi sento fuori posto
Una volta mi preoccupavo ma... le cose sono cambiate

Questo posto non mi fa affatto bene
Sono nella città sbagliata, dovrei essere ad Hollywood
Solo per un attimo pensavo di aver visto qualcosa muoversi
Devo prendere lezioni di danza, ballare il jitterbug rag
Niente abiti corti, devo vestirmi in lungo
Solo uno stupido qui dentro penserebbe di avere qualcosa da provare
E' passata troppa acqua sotto i ponti, ed anche un mucchio di altra roba
Non vi alzate signori, sono solo di passaggio
La gente è fuori di testa, i tempi sono strani
Sono chiuso in una gabbia, mi sento fuori posto
Una volta mi preoccupavo ma... le cose sono cambiate

Ho camminato sulla cattiva strada per quaranta miglia
Se la Bibbia dice il vero il mondo sta per esplodere
Sto cercando di fuggire il più lontano possibile da me stesso
Certe cose sono troppo bollenti perchè le si possa toccare
L'animo umano non può reggere tanto
Non si può vincere con una mano perdente
Sento che mi innamorerò della prima donna che incontro
la metterò in una carriola e me la porterò per la strada
La gente è fuori di testa, i tempi sono strani
Sono chiuso in una gabbia, mi sento fuori posto
Una volta mi preoccupavo ma... le cose sono cambiate

Basta poco a ferimi, solo che non lo dò a vedere
Si può ferire qualcuno senza neanche accorgersene
I prossimi sessanta secondi potrebbero durare un eternità
Toccherò il fondo, volerò alto
Tutta la verità nel mondo risulta un'unica grande menzogna
Sono innamorato di una donna che nemmeno mi piace
Mr. Jinx e Miss Lucy sono finiti in un lago
Io non sono così impaziente di commettere un errore
La gente è fuori di testa, i tempi sono strani
Sono chiuso in una gabbia, mi sento fuori posto
Una volta mi preoccupavo ma... le cose sono cambiate

Bob Dylan, Things have changed