domenica 27 settembre 2009

Racconto #12

Un titolo non mi è venuto... dateglielo voi, se volete :-)

Io e Michele eravamo amici fino dall'infanzia. Poi ci siamo persi di vista per molto, molto tempo, quando per lavoro, dopo l'univeristà, ha deciso di trasferirsi a Milano.
Era bravo, e in pochi anni anni si era guadagnato un ruolo di una certa importanza all'interno di una grossa multinazionale francese, di quelle che non ne hai mai neppure sentito parlare, con interessi nel settore dell'energia, dei diamanti, dell'acqua, delle armi...
Poi si era sposato, e aveva avuto una figlia. Mi mandava una mail di quando in quando, promettendo che un giorno sarebbe passato a trovarmi, dicendo che mi avrebbe fatto conoscere sua moglie (era certo che mi sarebbe piaciuta), e che sua figlia da poco nata era la cosa più bella che gli fosse mai capitata. Poi il silenzio. Quasi 3 anni di silenzio. Tramite amicizie comuni avevo scoperto quello che era accaduto, e ne fui devastato,
L'azienda aveva chiesto a Michele di trasferirsi per qualche mese in Zimbabwe per seguire la nascita di un nuovo progetto. Naturalmente, avrebbe potuto portare con se la sua famiglia, avrebbero abitato in una graziosa villetta all'interno di un ex-residence inglese.
Durante la seconda settimana di permanenza la figlia di Michele si ammalò. Scoprirono così che soffriva di un grave deficit immunitario, e qualcosa nell'aria o nell'acqua di quel luogo aveva scatenato all'interno della piccola una reazione violentissima, qualcosa di molto simile al colera. Arrivarono dottori dall'Europa, ma il giorno prima del trasferimento aereo per Parigi, la bambina morì.
Michele e sua moglie tornarono a casa, e dopo pochi mesi si separarono. Michele cercò rifugio nel superlavoro, in qualcosa che gli tenesse corpo e mente il più possibile impegnati...fu in quel periodo che iniziò a far uso di droga. Cocaina durante la settimana, per resistere a giornate di 16 ore lavorative, ecstasy e merda simile nel fine settimana, quando si rintanava nei night club o nelle lussuose case d'appuntamenti del centro.

Tornò a Mantova 11 anni dopo che era partito. Si presentò logoro e sfatto davanti alla mia porta una mattina di settembre, senza dire una parola. Aveva solo un sorriso amaro che gli increspava gli angoli della bocca. La Jaguar nel parcheggio era ridotta come e peggio dei suoi vestiti, ma probabilmente non puzzava altrettanto.

Entrò, e mi raccontò tutto, inclusi i dettagli che le voci che mi erano arrivate avrebbero potuto riportare. Non lavorava più per la multinazionale, aveva deciso di dare una svolta alla sua vita. Ora faceva il consulente freelance per una compagnia di assicurazioni, ed era felice, si, tutto sommato era felice. Incredibile quante bugie una persona riesca a raccontarsi per sopravvivere, pensai. Pianse parecchio. Io lo guardavo, ma non riuscii a dire una parola. Non mi parlò della droga. Gli dissi che poteva fare una doccia e che potevo prestargli dei vestiti. Non aveva bisogno di vestiti, ma una doccia l'avrebbe fatta... era appena arrivato in città quella mattina, e doveva ancora mettersi alla ricerca di un appartamento.
Gli dissi che non avrebbe fatto fatica, gli appartamenti sfitti erano tantissimi: le nuove leggi razziali avevano costretto cinesi, brasiliani, nordafricani, indiani e la popolazione di colore ad abbandonare le proprie abitazioni, e Mantova - come tante altre piccole cittadine del nord e del centro - si era praticamente svuotata. Girando per le vie del centro, di sera si aveva l'impressione di trovarsi in una città fantasma.

A Milano la sperimentazione doveva ancora partire, il congresso aveva deciso che si sarebbe iniziato dai piccoli centri per poter studiare meglio e in sicurezza gli effetti del Piano. La fase di test era iniziata 2 anni fa, e si sarebbe conclusa l'anno prossimo. L'esodo degli sfollati era gestito dall'esercito e dall'ONU, che organizzavano i trasferimenti verso i paesi del secondo e terzo mondo su grosse navi cargo attrezzate per permettere la sopravvivenza dei passeggeri per tutta la durata del viaggio, che poteva durare parecchie settimane.
Avevo cercato di reperire su internet altre informazioni, ma le norme antiterrorismo sempre più severe avevano da tempo isolato i principali siti di informazione libera. E così ci toccava sorbirci le solite palle sparate a reti unificate dai telegiornali di partito. Things have changed, cantava in una vecchia canzone Bob Dylan... .

Mantova è stata ufficialmente , ma in periferia e nella nuvola di frazioni e piccoli paesi che circondano la città la musica è diversa: da li i "negri" non se ne sono mai realmente andati. Così come i cinesi e i rumeni, e tutti gli altri. La polizia non è ancora riuscita a fare piazza pulita in quei ghetti, o forse non ha mai voluto farlo veramente. Girano molti soldi, da quelle parti, e le forze di polizia non sono certamente famose per la loro rettitudine morale. Case da gioco, bordelli, puttane agli angoli delle strade, bar aperti fino alle 6 del mattino, spacciatori seduti sui gradini delle chiese abbandonate.
Per pochi spiccioli puoi avere tutto quello che vuoi: cocaina tagliata con atropina, una puttana con la sifilide, una coltellata nello stomaco. Tutto quello che vuoi, basta chiedere.

Michele uscì dalla doccia, vestito con un paio di jeans e una camicia recuperata dal baule della Jaguar. Gli chiesi se voleva fermarsi per il pranzo, ma mi disse che doveva iniziare a cercare un posto dove sistemarsi. Ci scambiammo il numero di cellulare, con la promessa di trovarci una sera per bere una birra in un pub del centro. Ci salutammo, e per qualche mese non ebbi più notizie di lui.

Una sera della scorsa settimana stavo uscendo dal supermercato, e lo vidi attraversare di corsa il parcheggio per salire su una vecchia sgangherata Fiesta rossa del 2000, e partire di gran carriera verso la tangenziale che porta fuori città.
Che fine aveva fatto la Jaguar? Aveva la barba di parecchi giorni, e il suo guardaroba non sembrava migliorato dall'ultima volta che l'avevo visto.

Non so cosa mi è preso, ma ho deciso di seguirlo. Ho buttato le due borse della spesa nel baule, acceso il motore, e mi sono tuffato all'inseguimento della Fiesta rossa. Doveva spingere a tavoletta per andare a quella velocità, il vecchio motore urlava tanto che potevo sentirlo dal finestrino aperto della mia auto, nonostante mi tenessi a parecchi metri di distanza per non essere notato. Guidava come un pazzo nel traffico, e per non perderlo ho rischiato quasi due incidenti, ma ce l'ho fatta.

Uscì dalla tangenziale nei pressi di un vecchio megastore abbandonato, e lo seguii a ruota. Poco più in la, le prime luci del ghetto, di uno dei ghetti. Rallentò il passo e aumentai la distanza tra me e lui, senza perderlo d'occhio. Parcheggiò davanti una vecchia casa, di quelle costruite quando i nostri bisnonni erano ancora bambini e giocavano a nascondino nei pioppeti vicino al grande fiume.
Scese e suonò il campanello, qualcuno aprì la porta che subito gli si chiuse alle spalle. Le luci al secondo piano erano accese.

Era una bella serata di metà settembre, fresca e umida ma con una bella luna nel cielo. Me ne stavo seduto in auto, il motore acceso, con gli occhi puntati su quella porta. Non succedeva niente. Le finestre illuminate erano aperte, ma da dove ero io non si riusciva a vedere nulla. 10 minuti, e ancora niente. Forse erano amici, ed era passato a trovarli. Balle, nessuno ha amici da queste parti, mi sono detto: sapevo benissimo cosa l'aveva spinto a venire qui. Non so ancora bene se quello che ho fatto è stato motivato dal reale desiderio di proteggere Michele da se stesso, o se dalla semplice necessità di sfogare il carico di adrenalina accumulato prima nell'inseguimento e poi nell'attesa, fatto sta che ho spento l'auto e sono sceso. La strada era deserta, c'era solo qualche gatto che rovistava nei bidoni delle spazzature stracolmi.

Valutai l'ipotesi di suonare il campanello e di entrare come fossi un normale cliente, ma non sapevo niente di quel posto. Avrei potuto trovarmi una pallottola nel fegato solo per non aver saputo la parola segreta o cazzate del genere, preferivo evitare. E adesso trovo quasi divertente questo mio scrupolo, considerando l'enorme cazzata che avrei comunque fatto di li a pochi minuti.
Sul fianco della casa una vecchia scala antincendio portava fino al secondo piano, sotto una finestra con la luce spenta, forse il bagno.
La scala era rotta e arrugginita, e arrivava a circa 2,5 metri da terra. Per arrivarci dovetti prima salire sul rampicante che avvolgeva fitto parte del muro della casa, pregando che fosse abbastanza robusto.
Dopo aver rischiato di cadere almeno tre volte, riuscii a raggiungere la finestra ed entrare in casa. Effettivamente era il bagno... dal corridoio giungevano voci confuse, riconoscevo però un accento francese imbastardito di un paio di uomini, e la voce di una donna un po' impastata. Bene, da quel momento in poi non avevo più un piano. Non che la prima parte assomigliasse, anche vagamente, ad un piano, comunque.

Starmene li non aveva senso, decisi di entrare in quella che sembrava essere la sala principale. Sul divano rosso in fondo alla stanza, se ne stavano i due algerini che avevo sentito parlare prima. Tranquilli e rilassati, mi guardavano sorridendo. Sulle loro gambe, tenevano laidamente appoggiate due pistole di medio calibro, cromate. "Entra, coglione. E' mezzora che fai un baccano infernale per salire quassù,ormai credevamo che non ce la facessi". Seduto su una poltrona, a sinistra, un energumeno con lineamenti balcanici stava dormendo. Aveva un fucile a canne mozze appoggiato al bracciolo della poltrona.

Quello di destra scoppiò a ridere. Mi guardai attorno. Una bella ragazza con i capelli biondi, vestito da sera, se ne stava mezza coricata su un divanetto con lo sguardo al cielo. Uno specchio con polvere bianca appoggiato sul tavolo vicino, e un laccio emostatico al braccio destro. Una grassona nigeriana gli stava iniettando qualcosa in vena. C'era un bambino di colore, avrà avuto si e no 3 anni, che giocava li vicino con delle costruzioni. Il figlio della grassona, probabilmente.

"Se stai cercando il tuo amico, è nell'altra stanza che se la sta spassando". Entrai nella stanza di destra e vidi Michele coricato su una specie di futon. Gli occhi chiusi, anche lui con un laccio emostatico al braccio e la siringa, vuota, sulle lenzuola. "Ciaoooo, sei venuto a trovarmiiiii" mi disse con voce strascicata. Mi sentii svenire. Una ragazza nuda vicino a lui, si stava preparando una striscia di coca su un piccolo vassoio argentato. "Ciao bello, anche tu dei nostri? Vieni qui con me che ci divertiamo un po'... il tuo amico non si è dato molto da fare per tenermi su di giri stasera".

Non riuscivo a dire niente, non riuscivo a fare niente, ero immobile. C'erano altre stanze in quella casa, una parte del mio cervello si chiese quanta gente si stava uccidendo attorno a me.

Una mano sulla spalla, era uno dei due algerini, quello grosso. "Allora, amico. Ti piace lo spettacolo? Tu che vuoi, ero? Ecstasy? Oppure mdma, speed, ketamina, lsd... no, tu sei più uno da Brown-brown, vero? E mi pianta davanti la faccia la canna della pistola. La polvere da sparo, dico, meglio con la coca che con un proiettile no?

"Sono venuto per prendere il mio amico" La voce mi tremava, cosa cazzo c'ero venuto a fare qui? Sentivo l'adrenalina pompare il sangue nelle vene con una forza incredibile. "Però forse, un po' di mdma prima di andarmene..." E cercai di sorridere. L'algerino mi sorrise di rimando, scoprendo denti bianchi come la ceramica dei cessi degli autogrill.
"Bravo ragazzo, così si ragiona!" E mi diede una pacca sulla spalla. Si infilò la pistola nella cintura, dietro la schiena, e si voltò verso il suo socio chiedendogli dove cazzo aveva messo l'mdma". Presi la pistola e lo spintonai, facendolo cadere bocconi.
Puntai la pistola sull'algerino che se ne stava ancora seduto sul divano. L'ho preso alla sprovvista, la pistola gli è caduta per terra e ora se ne stava con le mani alzate e lo sguardo stupito. Lo slavo seduto sulla poltrona si era svegliato e aveva imbracciato il fucile con un riflesso condizionato, ma aveva l'aveva lasciato subito appena visto la mia pistola spianata.

"State fermi, FERMI!!"

Arretrai verso la stanza dove stava Michele, senza voltarmi e tenendo l'algerino sotto tiro. L'altro era ancora a terra con le mani sulla nuca. "Michele alzati cazzo, andiamo ANDIAMO."
"Nnooooo, io sto bene qui. Hai visto Elisa? E' quella nuda qui di fianco. Ha un culo da favola, non trovi? Lisa, ti presento il mio amico..." La ragazza mi guardava con gli occhi sgranati, il naso ancora sporco di polvere bianca.
Il mio sguardo andava dagli algerini ad Michele e poi di nuovo agli algerini, i miei movimenti erano quasi spastici, me ne rendevo conto. E mi rendevo conto che questo empasse non poteva durare molto a lungo, dovevo andarmene al più presto. Michele mi guardava imbambolato. "Hai una pistooooooola, beeeella!! E' tutta lucida, lucida lucida...." e poi scoppiò a ridere. Ho pensato "Fanculo, stattene qui a crepare, io me ne vado".

Rientrai nella sala principale, tenendo sotto tiro a turno tutti e tre. Il bambino piangeva, la grassona se ne stava a guardami con lo sguardo sornione di quello che tanto dove vuoi che vada.

Trovai la porta che dava sulle scale che portavano all'ingresso, e sempre tenendo la pistola puntata sui 3 pericolosi coglioni, me ne andai. Feci gli scalini due a due, di sopra si stavano muovendo, e sentii il primo sparo appena misi la mano sulla maniglia della porta del piano di sotto.

Corsi come un disperato verso l'auto, l'accesi e misi in moto. I 3 erano scesi, inferociti, uno di loro iniziò a spararmi contro. Le ruote dell'auto si aggrapparono all'asfalto e schizzai come un fulmine verso di loro.
Un proiettile colpì il cofano, poi gli fui sotto e si scansarono di lato. Un altro colpo, a vuoto stavolta. A velocità folle attraversai il ghetto, per arrivare al raccordo che porta alla strada statale. Conosco queste zone come le mie tasche, non avrei avuto problemi a seminarli se avessero deciso di inseguirmi. Cosa che fecero. Giunto sulla statale, vidi nel retrovisore le luci di un grosso fuoristrada avvicinarsi a gran velocità verso di me.

Che cazzo di auto avevano? Ero a tavoletta e continuavano a guadagnare terreno. I paesi lungo la statale sfrecciavano ai miei lati mentre scansavo le auto che ingombravano la strada. Il traffico aveva rallentato gli inseguitori, ma non li avrebbe fermati.

Arrivai nei pressi del ponte che attraversa il Po. A fanali spenti, svoltai a sinistra lungo l'argine che fiancheggia il grande fiume, sperando di non essere visto. La luna illuminava fiocamente l'asfalto, e a velocità ridotta riuscivo a procedere anche senza i fari. Non so come, ma intuirono che avevo preso quella stradina: in pochi secondi i fari del fuoristrada mi illuminarono, uno sparo, il lunotto in frantumi.

Accesi di nuovo i fanali e spinsi il pedale dell'accelleratore fino a toccare il fondo. La strada era piena di curve, e l'asfalto era reso viscido dall'umidità della sera. Faticavo a tenere il controllo dell'auto, ma conoscevo bene queste strade e anticipavo le curve con la stessa lucidità di quando, secoli prima, giocavo ai videogame con mio fratello. Li staccai di qualche centinaio di metri. Poi una transenna: argine interrotto CAZZO!
Sulla sinistra, una strada sterrata scendeva dall'argine inoltrandosi nella campagna, e mi ci infilai senza quasi rallentare la corsa. Il terreno era accidentato, le piogge avevano creato quasi delle voragini in mezzo alla carrettiera. La ruota anteriore destra si infilò in una di queste buche, facendomi perdere il controllo dell'auto. Rumore di vetri in frantumi, lamiere che si contorcono e il ruggito del motore che spingeva ormai a vuoto. L'auto si era cappottata due, tre volte nel campo, evitando di poco i grossi cipressi che fiancheggiavano il viale.
Uscii frastornato e sanguinante: un taglio sul braccio, e il naso mi faceva un male incredibile, ma almeno ero vivo, per adesso. I fari del grosso fuoristrada stavano scendendo dall'argine, tra pochi secondi sarebbero stati qui. Mi allontanai dall'auto, e iniziai a correre tra le sterpaglie. Uno enorme specchio d'acqua davanti a me rifletteva la luce della luna, e una sottile nebbiolina ne offuscava la superficie. Ero esausto, e per una frazione di secondo pensai al mostro della laguna, quello del film in bianco e nero, e me lo figurai uscire da quella risaia limacciosa. Trattenni a fatica una risata isterica. Michele, ma vaffanculo.

I 3 erano scesi dall'auto, li sentivo urlare ma non capivo cosa stessero dicendo.
Nulla di interessante per me credo. O magari si, mi avevano inseguito solo per avvertirmi che la luce della targa non funzionava. Sotto stress il mio cervello elabora solo idiozie, a quanto pare.
Continuavo a correre fiancheggiando la risaia, e forse avevano visto la mia sagoma nera in contrasto con l'acqua e la nebbia rischiarate dalla luna. Spari nella mia direzione, uno, due, tre, quattro. Suoni diversi: la pistola, il fucile a canne mozze, una pistola più grande. Correvo, correvo tanto da non sentire più le gambe. Cambiai strada, prima a destra, poi a sinistra, mi tenevo basso, nel tentativo di seminarli.
Poi di fronte a me, un terrapieno, e oltre il terrapieno una grossa costruzione bianca, alta forse una ventina di metri e delle dimensioni di un piccolo campo da calcio, illuminata da potenti fari. Lo riconobbi, era il vecchio macello per il quale lavorava mio padre anni e anni fa. C'erano camion, li attorno. Alcuni bestiame, alcuni col cassone ermeticamente chiuso. Alcuni camionisti e dipendenti del macello discutevano rilassati davanti all'enorme portone di ingresso. Potevo andare da loro e chiedere aiuto, ma non credevo potesse essere una grande idea. Quelli erano grandi e grossi, ma gli altri erano armati. Avrei solo tardato di qualche decina di secondi la mia esecuzione. Decisi di rimanere nell'ombra, di avvicinarmi al capannone e di intrufolarmi all'interno. Non pensavo sarebbero entrati per cercarmi, e comunque avrei avuto a disposizione molti più nascondigli la dentro che fuori. Senza contare che avrei potuto recuperare un telefono, e chiamare aiuto.

In lontananza sentivo le voci dei 3 inseguitori, si stavano avvicinando... dovevo sbrigarmi ad entrare. Scavalcai il terrapieno e raggiunsi i muro esterno del grosso capannone... girai attorno all'edificio fino a quando trovai una porta di servizio. Era aperta ed entrai.

L'odore di carne macellata era fortissimo, quasi nauseante. Davanti a me, una catena automatica fitta di mezzene squartate si muoveva a intervalli regolari. Start-stop. Start-stop. Andai in un'altra ala del complesso.
Quello che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene. Una catena esattamente identica a quella di prima. Ai ganci erano però attaccati esseri umani, o quanto meno quello che ne restava, visto che come per il bestiame erano privi di interiora. Però avevano ancora la pelle. Uomini, donne, quasi tutti di colore, di quando in quando qualche orientale e qualche caucasico. La catena andava avanti, Start-stop-Start-stop, e le teste di quei poveri disgraziati ciondolavano avanti e indietro, come se stessero ballando uno di quegli insulsi balli da capodanno da fare in trenino, con stupidi cappelli in testa e il bicchiere di prosecco da 4 soldi in mano. A sinistra, mucchi di essere umani ancora da "trattare", divisi per colore della pelle e per sesso.

Non riuscivo a credere ai miei occhi, ero pietrificato. Era questo il "Piano di evacuazione"? E le navi cargo, e l'ONU... era tutta una farsa? Cazzo, saranno stati almeno cinquecento, seicento corpi ammassati.
Mi tornarono alla mente le immagini dell'olocausto, in bianco e nero, coi tedeschi che spalavano i cadaveri nelle fosse comuni con le ruspe.

E qui che ci fanno con questi corpi? Cibo per cani, per gatti, per noi altri umani? Mi sono sentito svenire.

Poi uno sparo, e delle urla. Mi sono nascosto dietro una cassa di legno.
"Chi cazzo sono questi 3?"
"Sono armati, attenti!"
"Stiamo cercando una persona, un uomo che secondo noi è entrato qui. Lo troviamo, lo prendiamo e ci leviamo dalle palle, tranquilli, non vogliamo creare casini"
"'Scolta Franco, a te ti sembrano dei nostri ?"
"Haha, a me pare di no"
"Davvero, non facciamo casini, troviamo lo stronzo e ce ne andiamo"
"Voi non andate da nessuna cazzo di parte"

Poi quattro, cinque spari. Rumore di corpi trascinati.

"Mettili sul carrello e portali con gli altri. Guarda se hanno dei soldi nei portafogli che stasera ci andiamo a divertire, e brucia i documenti."
"Haha, dobbiamo chiedere ai capi il premio produzione, tre pezzi di merda in meno per le nostre strade"
"Avresti mai detto che lavorare per l'ONU sarebbe stato così divertente?"

Aspettai un tempo che mi parve infinito, poi quando attorno a me sentii solo silenzio, raggiunsi la porta e scappai.

Non ho mai parlato di questo con nessuno: nel migliore dei casi nessuno mi avrebbe creduto, nel peggiore sarei finito anche io appeso a uno di quei ganci.

L'altra sera, alla TV, davano uno speciale sulle nuove navi cargo realizzate per la seconda fase del Piano. Mi sono messo a ridere, poi a piangere. Menzogne.

Di Michele non seppi mai più nulla. Probabilmente è morto di overdose in qualche merdoso buco del ghetto, ma mentirei se dicessi che me ne importa qualcosa. Things have changed.

10 commenti:

  1. E' pura fantasia o c'è qualche spunto reale? Per il titolo, penso che non sia poi così necessario. Alla fine, il titolo serve a catalizzare l'attenzione di chi legge, riassumendo in poche parole il contenuto, per suscitare curiosità. Qui la curiosità viene stimolata fin dal principio con frasi brevi ed esaurienti. Almeno, così mi è parso.

    Bravo!

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  2. Innanzitutto grazie aidlyn :-)

    Di reale non c'è molto... di sicuro lo sono gli spunti geografici, ma per il resto è "quasi" tutta fantasia. ;-)

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  3. Beh, fanatasia o no, sai scrivere in modo decisamente realistico. Mi sembrava di essere immersa in quella situazione... Bello! Complimenti! :)

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  4. @antartica: grazie, davvero... mi fa piacere ti sia piaciuto (sorry per il bisticcio di parole)!

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  5. Che allegria da queste parti!

    ;-)


    E' solo una mia impressione o i tempi cambiano anche nei verbi?


    Speriamo che questo non si avveri....

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  6. @mezzastrega: mica è un blog nero così per dire! :-) La tua impressione sui verbi, temo sia drammaticamente esatta... confesso di aver sempre avuto qualche problema con sta cosa, e considerato che questo racconto praticamente non l'ho neppure riletto, sei autorizzata a bacchettarmi le dita :-)

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  7. :-)

    il principe quando gli faccio notare questo genere di errori, mi risponde "si vabbè, ma ti piace il testo?" e fa spallucce ai verbi!


    E' un errore molto comune, ma io sono precisina ;-)

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  8. L'unica cosa che mi viene in mente è Il sangue del Po. Stampo chiaramente padano con il sottofondo dell'ampolla leghista. Ma è tardi e sono stanca, quindi non faccio testo.

    ;-)

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  9. E io che ho pensato fosse un'allitterazione! ...Il 'bisticcio di parole', intendo... ;)

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  10. ...e io che ci ho quasi creduto fino in fondo!!

    ma prima di iniziare a scrivere ti eri fatto di....mdma, speed, ketamina, lsd... no, tu sei più uno da Brown-brown, vero?

    :))

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