mercoledì 22 febbraio 2012

Il cielo, la luna, e bang supersonici

Un paio di giorni fa ero seduto vicino alla finestra della mia camera da letto, mentre riflettevo su come archiviare quella montagna di documenti bancari, assicurativi e di lavoro che si accumula con ritmo sempre costante sulla mia scrivania. Non ce la farò mai, non sarò mai così ordinato da riuscirci.
All'improvviso un rumore familiare eppure quasi dimenticato cattura la mia attenzione, e cerco  fuori dalla finestra, in alto, nello spazio di cielo blu tra la casa dei miei e     quella dei loro vicini.
Era un jet militare, volava a quota relativamente bassa, diretto a nord... e nella frazione di un secondo quel fragore quasi supersonico ha letteralmente aperto nella mia memoria un baule di ricordi... e forse non era neanche un baule, ma di un grosso fustino di Dixan in polvere,  quello nel quale da piccolo raccoglievo tutti i miei Lego. Una collezione di preziosi mattoncini di plastica, bianchi, neri, blu e rossi, e di piccoli ometti col casco,la testa gialla e piccole bombole dell'ossigeno sulla schiena, che profumavano inevitabilmente di detersivo, e coi quali costruivo i miei mondi e le mie avventure a cavallo tra gli anni 70 e 80.

E quindi un po' come succedeva a Proust con le sue Madeleine, a me è successo con un F16. Oggi  è raro che capiti, ma in quegli anni sopra le nostre teste sfrecciavano spesso caccia militari, immagino a causa delle tensioni Italia-Iran e probabilmente  anche al fatto che non erano ancora successi abbastanza disastri aerei in zone abitate.

E ricordo ancora benissimo i boati -emozionanti- di quando i jet abbattevano il muro del suono, e le strisce bianche di condensa lasciate nel cielo, e quando assieme ad alcuni amici facevamo a gara a chi notava più dettagli di quegli aerei dalle carlinghe a volte argentate, a volte dipinte in verde mimetico, che "sfioravano" (così immaginavamo, senza allontanarci troppo dalla realtà in effetti) a velocità incredibili i tetti delle nostre case , togliendoci il fiato ogni volta.

E sognavo di volare anche io, e creavo mondi fatti di cieli vastissimi, di spazio, di missili col marchio USAF stampigliato sul fianco, di astronauti esploratori e viaggi intergalattici,mondi fatti di puro stupore, di curiosità infinita... non c'era ancora alcuna traccia di quella violenza che avrei conosciuto qualche anno dopo per colpa dei famigerati, amati cartoni animati giapponesi.

Era una curiosità di bambino, innocente, verso un mondo che avevo conosciuto attraverso le illustrazioni USA anni 50 e 60 dell'enciclopedia "I quindici" che mamma e papà mi avevano comprato quando avevo appena 4 anni, attraverso i fotogrammi di Spazio 1999 visti in bianco e nero sulla tv della nonna, e  alle istruzioni di montaggio delle mie piccole astronavi Lego... quella Luna silenziosa, quelle sue dune grigie e immoti, lo spazio nero, vastissimo, puntellato di piccole stelle.

E nelle giornate d'estate, mi coricavo nel giardino e guardavo la luna azzurrina nel cielo, appena visibile, e mi chiedevo se lassù ci fosse qualcuno, mi chiedevo se forse realizzando finalmente quel mio progetto di astronave fatta di cartone e ali di polistirolo, avrei mai potuto raggiungerla.
Ma nell'odore al Dixan di quel ricordo ci sono i anche miei genitori, allora ancora giovani, forti e bellissimi, mia mamma con i capelli lunghi e mio padre con i suoi muscoli abbronzati, c'era la nostra casa in costruzione, un cantiere pieno di scavi e buche e mucchi di sabbia, e odore di calce e cemento, e c'era il cane dei miei zii, biondo, furbo e compagnone che ci veniva a trovare spesso, c'era la sensazione strana ed esaltante di trovarmi in un posto nuovo, che da li a qualche mese sarebbe diventato la mia casa.
E poi il profumo di mobili, alcuni nuovi e altri improvvisati, il sapore del primo toast mangiato per cena, io, mamma e papà, seduti su poltrone in vimini da giardino che per qualche anno sono state il nostro salotto.

Quel profumo di detersivo e il frastuono dei reattori sono il mio punto di contatto con un periodo fatto di speranze e di cose che nascevano, dove tutto sembrava infinito eppure raggiungibile, e puro come una mattina di primavera.
E anche se so che in un modo o nell'altro succede a tutti, mi chiedevo quando è successo che ho smesso di guardare il cielo con quegli occhi.

Eppure, mentre giocavo con photoshop per creare la copertina di queste righe, mi sono accorto che io la Luna la vedo ancora così... con quell'omino rosso col pianeta dorato sul petto, che sorride.

2 commenti:

  1. Chi non ha sognato giocando con i lego, ricordo anch'io l'omino rosso con il suo caschetto spaziale rigorosamente senza visiera, e mi domandavo come potesse respirare nello spazio...
    I lego ora giacciono in soffitta, tante volte mi viene voglia di andarli a recuperare per giocare ancora, sul tappeto, rovistando tra tutti i pezzi sparsi.Ma non lo faccio...forse per mancanza (vera, presunta?) di tempo , forse perchè ho cose più importanti da fare, o sono troppo stanco dopo un'altra giornata uguale a tutte le altre. O forse perchè ho paura di non riuscire più a costruire le cose meravigliose che da bambino riuscivo a fare...

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    1. Buondì Ale,
      la mancanza di tempo... ci penso spesso anche io, e non so se sia reale o "presunta", forse un mix delle due.
      Rendere le giornate diverse le une dalle altre non è facile (io ci riesco di rado), ma sto capendo che molte volte è questione di buttarsi di lato, deviare anche di poco da un percorso prestabilito. Svegliarsi un'ora prima alla mattina e fare un giro in bicicletta, decidere alle 8 di sera di uscire a cena e lasciar perdere per una volta microonde e tv, godersi un concerto di quando in quando... piccole cose che a volte ci dimentichiamo essere parte del sapore della vita.
      E una volta che senti di nuovo quel sapore, magari ti torna la voglia anche di costruire qualcosa di meraviglioso, coi lego magari. ;-)

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