domenica 23 settembre 2007

[Racconto] Una cravatta rossa

Nota: come sempre è un raccontino senza pretese, solo alcune idee buttate giù :-)

Mi sveglio scivolando fuori dal sonno, lentamente, come sempre.
Per istinto cerco la mano di lei. Una fredda brezza mi attraversa il cuore quando non la trovo.
Quando realizzo, di nuovo, che lei non c'è, e non c'è mai stata.
E' una cosa che mi succede da qualche anno, da quando ho passato l'ottantina.
E' una strana sensazione
La luce che entra dalla finestra è fioca e grigia. Fuori c'è la nebbia.
Sono le 7, è ora di alzarsi. Ho tutto il tempo ma non voglio prendermela troppo comoda.
Il pavimento è gelido. Seduto sul letto, con i piedi cerco le ciabatte, mentre con la mano afferro il bastone.


Che strani scherzi fa il cervello.
Giurerei di sentire il suo profumo nell'aria. Potrebbe essere... vediamo, forse Chanel, ma non ne sono sicuro.
La sogno ogni notte, e ogni notte è un sogno diverso.
Lei in cucina, ai fornelli, illuminata dalla calda luce gialla di quel lampadario che ha voluto comprare a tutti i costi al mercatino.
Io che le porto dei fiori, è il nostro anniversario. E' seduta sul divano, non se li aspetta... e mentre si alza per venirmi incontro vedo che ha gli occhi lucidi.
Pantaloncini corti e ginocchia sbucciate da mille cadute. Davanti a noi c'è un tetro capannone abbandonato. Eccitati ed ansiosi di scoprire i segreti che vi si nascondono, scavalchiamo la recinzione ed entriamo.
E' sera, e cade una pioggerellina leggera. Passeggiamo per le vie ciottolate di una città che potrebbe essere Parigi, o Roma, stretti sotto un unico ombrello.
Estate, una veranda allagata dalla luce del sole, di fronte ad un mare talmente azzurro da ferire gli occhi. Sta leggendo un libro. La osservo sorridendo.
A volte siamo adulti, a volte solo poco più che ragazzini, altre volte non importa.


Sono istantanee di una vita che non ho mai vissuto, sogni vividi ed intensi che colpiscono cuore e sensi con una forza che stordisce.
E ogni mattina il risveglio, il "distacco", è sempre più crudele, alleviato solo dalla certezza che la sera stessa sarò di nuovo con lei.


Mi vesto. E' un completo elegante. Le scarpe nere sono lucidissime, mi ci posso quasi specchiare.
Sulla camicia bianca la cravatta rossa sta davvero bene, la commessa aveva ragione, un tocco giovanile non guasta.
Una rapida controllata allo specchio. Sono in ordine.
Cappello in una mano e bastone nell'altra, mi volto a guardare la stanza. Non so perché ho rifatto il letto. Mi fa anche male la schiena, potevo risparmiarmelo.
Forse perché un letto non fatto sa di qualcosa di sospeso, di non concluso. Chissà...


Esco da casa mia e lentamente mi incammino.
Invece di passare per il paese, scelgo la via che corre sull'argine del grande fiume.
Allungherò la strada di qualche chilometro, ma non ho fretta. E non potevo perdermi lo spettacolo della nebbia, giù in basso tra i pioppi, che forma un vero e proprio lago d'argento. Quando da piccolo venivo a giocare qui rimanevo sempre incantato da quella meraviglia.
Si sente il suono del fiume, distante solo poche centinaia di metri da me ma nascosto dalla bruma. Un tranquillo e maestoso brontolio.


Mentre passeggio mi guardo la cravatta. Mi sta davvero bene. Che vanitoso sono diventato invecchiando.


Sto pensando al luogo dove sto andando. Che strano, non ha un nome. Non glie l'hanno voluto dare, chissà perchè. Ogni cosa dovrebbe avere un nome.
L'"opuscolo preparatorio", come lo chiamano loro, mi è arrivato 2 anni fa. Una infermiera mi annuncerà gentilmente che il mio turno è arrivato. Mi farà scegliere, se lo desidero, un brano da ascoltare mentre mi faranno l'iniezione, che (non si preoccupi!) è totalmente indolore. Si cade lentamente in un sonno profondo, dove ogni funzione vitale rallenta progressivamente fino a fermarsi. Semplice.
La psiche umana è davvero qualcosa di strabiliante. 30 anni fa tutto questo era considerato un abominio, poi un male necessario, oggi come una inevitabile conseguenza dell'essere nati...


Mentre cammino, cerco di scorgere davanti a me la sagoma del "luogo". Ma forse sono ancora lontano, non si vede. E la nebbia è ancora fitta.
La respiro a pieni polmoni. Sa di erba bagnata. Sopra di me scorgo il tenue baluginio del sole di Novembre.


Al pensiero del "grande sonno" che mi attende, non posso che sorridere pensando che finalmente non ci sarà più alcun risveglio a separarmi da lei.

2 commenti:

  1. piu' la leggo e più mi piace!!! il mio adorabile e talentuoso derek-derrek!!!

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  2. Ma che è, facciamo a gara a chi riesce ad imbarazzare di più l'altro?! :D

    Scherzi a parte, sapere che lo apprezzi mi fa molto piacere... Ah, ne ho un altro in cantiere, alcuni appunti su carta. Appena ho un attimo li trasformo in racconto.

    Può darsi che ti piaccia anche quello :-)

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