domenica 5 ottobre 2008

[racconto] - Vecchio Jazz e ghiaccio nero - Seconda parte

[vai alla prima parte]


Foglio #2
L'altra sera ci sono tornato. Erano passati più di quattro mesi, pensavo di aver scansato il pericolo ma non ho retto, non ce l'ho fatta.


Ero uscito con alcuni colleghi per una birra al pub non molto distante dal magazzino. Tra di loro c'era uno nuovo, un messicano taciturno che non doveva avere più di 20 anni. Era stato assunto da poco, di lui sapevo solo che lavorava al reparto spedizioni. Al tavolo se ne stava in silenzio seduto di fronte a me, giocherellando con un biglietto nero che aveva un'aria familiare... quando alzai gli occhi mi stava guardando, sorridendo. Poi mi lanciò il biglietto e se ne andò, senza dire una parola. La scritta Black Ice ammiccava riflettendo le luci del locale sulla sua superficie lucida.


Avrei dovuto strapparlo ma, naturalmente, non lo feci. Verso le dieci mi congedai dai ragazzi, e questa volta non ci provai neppure ad andare verso la metro... mentre percorrevo la strada che mi separava dal Black Ice avevo il cuore pieno di terrore ed eccitazione. Sapevo che stavo commettendo un grosso errore, ma non potevo farci nulla. Dovevo vederla, almeno ancora una volta.


Ci fu di nuovo il labirinto di muri, ci fu di nuovo la via deserta, quel terrificante cielo nero e quell'insopportabile ronzio. E ci fu di nuovo il pinguino impomatato a darmi il benvenuto, di nuovo il locale gremito di gente sorridente arrivata chi sa come fino laggiù, e ci fu lei.


Indossava ancora l'uniforme da soldato, e se possibile era ancora più bella della prima volta che la vidi. Mi riconobbe subito, e mi salutò con la mano. Sembrava felice, e mi accorsi della malinconia celata dietro agli occhi solo quando fummo vicini.


Salimmo ancora una volta fino all'ultimo loggione, e facemmo l'amore in modo disperato, furioso. Le visioni arrivarono e se ne andarono più volte, ma non mi fermai... in bilico tra realtà ed incubo non mi interessava più da che parte dello specchio mi trovassi. Desideravo solo essere li con lei, qualsiasi luogo della mente o dello spazio fosse quel posto.


Eravamo coricati uno di fianco all'altra, ancora ansimanti. Stringevo la sua mano, e lei mi disse che voleva spiegarmi, che doveva spiegarmi. Cercai di dirle che non mi interessava, che non volevo sapere nulla, ma lei insistette.


E scoprii che stavo morendo, lentamente. In un certo senso mi stavo uccidendo da solo, e lei era il veleno, era il tubo del gas, era la pallottola sputata dalla canna della pistola.


Ogni volta che uscivo da quel locale perdevo una parte di me... poco a poco il Black Ice mi avrebbe divorato, cibandosi dei miei ricordi e dei miei sentimenti fino a quando di me non sarebbe rimasto che un involucro di carne in grado a malapena di accorgersi della differenza tra notte e giorno.


Senza saperlo, non consciamente almeno, presi la decisione di uccidermi proprio quella sera al pub irlandese, e chissà come mai questa rivelazione non mi sconvolse più di tanto.


Mi disse che nessuno veniva trascinato al Black Ice per forza o convinto con l'inganno, non sarebbe stato eticamente corretto: ogni singolo cliente aveva deciso il suo destino già prima di varcare la soglia del locale.


Ascoltavo con attenzione ogni sua parola, e per quanto pazzesco fosse quello che mi stava raccontando, in qualche modo sapevo che si trattava della verità.


Le raccontai delle mie "visioni", e mi disse che era del tutto normale averle... ma che non si trattava di visioni. Piuttosto la visione era quella che stavo vivendo in quel momento, coricato su morbidi cuscini e avvolto in lenzuola di seta. Ciò che avevo visto in realtà erano squarci aperti sul vero Black Ice, o meglio su uno dei suoi volti. E prima che potessi formulare la domanda mi disse che si, la stessa cosa valeva anche per lei...


Rimasi in silenzio per qualche minuto, mentre lei mi accarezzava piano. Poi le chiesi se l'etichetta del locale concedesse di potersi innamorarsi del proprio carnefice. Dissi queste parole col sorriso amaro di chi sa che è tutto perduto. Li, tra le sue braccia, stavo bene. Disse di si, ma che non sapeva se fosse concesso il contrario.


Arrivai a casa alle 5, e decisi che mi sarebbe bastata un'ora per recuperare le energie e tornare al lavoro. La sveglia suonò alle 6, e poi ad intervalli regolari fino alle 7, ma non la sentii. Due ore dopo suonò anche il telefono, e mi svegliai di soprassalto: era la segretaria del mio capo, che mi avvisava di passare il prima possibile a svuotare il mio armadietto e a riconsegnare il badge di riconoscimento. Ero stato licenziato.


Avevo appena scoperto che stavo lentamente morendo, che non potevo farci niente... e guardando la mia vita da questa nuova angolazione l'idea di perdere il lavoro sembrava decisamente meno drammatica. Sono andato al magazzino, preso la mia roba e infilato il badge nel taschino della camicia verde-cavolfiore del capo. Senza dire una parola. Lo fissai per qualche secondo... mi sembrava stranamente più basso, e la sua faccia ricordava quella di un cane, un bulldog forse. Strano vero?


A dirla tutta, non era solo quel figlio di puttana a sembrarmi "singolare": le strade, i palazzi, le auto, le persone... pareva tutto assolutamente normale, eppure qualcosa di diverso c'era. Qualcosa che aveva a che vedere con le proporzioni delle cose, con i colori, con le espressioni sui volti dei passanti. Ma forse mi sbagliavo, ed era solo colpa del sonno arretrato.



Sono 3 giorni che non esco di casa, il frigorifero è praticamente vuoto. Guardo fuori dalla finestra e la città sembra, fortunatamente, la solita: il palazzo di fronte è sempre lo stesso vecchio palazzo di fronte, le auto sono sempre parcheggiate in tripla fila, e non c'è nessun mostro verde con le squame a spasso per il quartiere. C'è solo questa pioggia fetida che cade ininterrottamente da l'altro ieri.

Non mi va di uscire, ma starmene qui rinchiuso non mi sta aiutando. Dovrei andare a prendere qualcosa da mettere sotto i denti, magari mi distraggo un po' e smetto di pensare a quello che mi ha detto la ragazza. A volte riesco quasi a convincermi di essermi immaginato tutto, ma il suo profumo sui miei vestiti è li a ricordarmi che non è così.


Se è vero che la mia fine è inevitabile, l'unica cosa che posso fare è cercare di allontanare il più possibile il momento in cui avverrà. Deve essere un rigurgito di istinto di sopravvivenza, credo. Devo stare lontano da quel locale, tutto qua.


Ok, ho deciso: esco a fare la spesa. E andrò anche ad iscrivermi alle liste di collocamento, dovrò pur pagare l'affitto i prossimi mesi.



Foglio #3
La situazione sta precipitando, e sembra che non possa farci niente. E' passato più di un anno da quando ho iniziato a cercare ma non ho ancora trovato un lavoro stabile, e i soldi iniziano a scarseggiare. Diciamo pure che i soldi sono finiti. Ho fame, cerco di saltare più pasti che posso, almeno fino a quando non riuscirò a guadagnare qualcosa.


Il padrone di casa mi ha già detto che se non pagherò neppure il prossimo affitto sarà costretto a cacciarmi di casa, e che si terrà i mobili e la tv per rifarsi in parte di quello che gli devo.


La città la fuori è diversa, mi sembra di vivere in uno stato di allucinazioni perenni dove tutto è strano, sbagliato... le prime volte mi ostinavo a dar colpa alla sonno (dormo pochissime ore a notte ormai, e mi sveglio in continuazione), poi alle medicine che prendo per combattere l'insonnia, e poi ancora alla fame, ma so che non è nulla di questo. E' come se il mondo del Black Ice stesse straripando in quello reale, o forse sta solo straripando nel mio cervello. A volte mi sembra di sentire anche quell'orribile ronzio... mi sta cercando, mi sta chiamando. Sono parecchi mesi che manco da la, in fondo.


Ma resisterò, devo resistere. Forse passerà. Fuori piove ancora, non smette quasi mai. Come fa a non essersi ancora allagata questa città?!




Foglio #4


Mi sono accorto che la mia memoria inizia a funzionare in modo strano... spesso non ricordo cosa ho fatto dieci minuti prima, ma ricordo con chiarezza quello che ho fatto la sera precedente. Oppure ricordo avvenimenti del passato fino nei minimi dettagli, ma non ricordo le facce di amici e conoscenti. L'altro giorno per strada mi ha fermato un tizio che diceva di essere un mio vecchio collega al magazzino... si tratta di solo pochi mesi prima, ma io non lo ricordavo minimamente... forse il nome non mi era nuovo ma per il resto, il vuoto.

Non si sta mettendo particolarmente bene, credo.


Ah dimenticavo... alla fine il vecchio padrone mi ha sfrattato... non glie ne faccio una colpa, in fondo lo capisco. Adesso vivo in un vecchio albergo decrepito con i muri dei corridoi che puzzano di piscio, ma almeno non dormo accucciato nei cunicoli della metro come ho fatto le ultime due settimane. Sopravvivere è difficile, non credevo potesse essere così dura... qualche giorno fa ho rubato per la prima volta in vita mia, un po' di cibo al supermercato. Mi sono vergognato di me stesso, ma l'alternativa era saltare per l'ennesima volta la cena, non potevo farcela.


Ad ogni modo il nuovo padrone sembra un tipo simpatico, credo che faccia il pappone. Porta sempre con se una pistola infilata nella cintura, bene in vista, che gli da un tono pittoresco. Io poi o vedo altissimo, circa due volte me, ma ormai mi sono abituato a queste allucinazioni. Ho notato che sono più forti verso sera, e che alcune zone della città sembrano esserne miracolosamente immuni. Un giorno di questi voglio disegnare una cartina.


Ieri mattina sono passato davanti al parco giochi di una scuola, non aveva ancora ripreso a piovere e addirittura alcuni raggi di sole erano riusciti a farsi strada tra le nuvole e illuminare le giostre, e i bambini che si rincorrevano e si arrampicavano sui castelli e volavano sull'altalena e... mi sono seduto su una panchina e ho pianto.



Foglio #5
Ieri sera quel pappone del cazzo mi ha pestato. Prima col calcio della pistola, e poi con l'abat-jour... la mia faccia è tutta un livido, è un miracolo che non mi abbia fatto saltare alcun dente. Aveva bisogno della mia stanza per una delle sue ragazze e per il suo cliente, e quando gli ho detto che non se ne parlava ha trovato il modo più rapido per convincermi.


Me ne sono stato seduto nel corridoio tutto il tempo, quasi un paio d'ore. Poi ho dormito sul tappeto, non mi andava di coricarmi su quel letto ancora maleodorante di sudore e profumo da quattro soldi.


Questa mattina ho scippato una signora sulla cinquantina che era ferma davanti alla vetrina di una boutique, e mi è andata bene: il portafoglio era zeppo di soldi, forse riesco ad arrivare alla fine del mese senza dover rubare di nuovo al supermercato.


Vorrei dire che non sto pensando al Black Ice, ma la verità è che ci sto pensando costantemente. So che andare laggiù significa accelerare la mia corsa verso il baratro, ma mi chiedo se ha ancora senso la vita per come la sto vivendo ora. Forse darci finalmente un taglio è l'unica soluzione. L'unica cosa che mi trattiene è la vergogna di farmi vedere da lei in questo stato... ed è folle considerato che sappiamo bene entrambi che è il suo veleno che mi ha ridotto così.


Ho preso la mia decisione, questa sera andrò al Black Ice, e poi che succeda quello che deve succedere.




Reprise
Questo è quanto, se non fosse per quei pochi fogli quasi non saprei di aver avuto una vita diversa, modesta ma quanto meno dignitosa, prima del Black Ice.


Sono ancora vivo, ma a che prezzo? Non ricordo più nulla, compio azioni delle quali si vergognerebbe anche il peggiore dei balordi della città, vivo in questa topaia da mesi e le allucinazioni mi seguono ovunque.


Quella sera andai al Black Ice. Il ronzio davanti all'ingresso era insopportabile, forse era felice di vedermi e mi stava facendo le feste. Ero davanti al bancone e mi guardavo riflesso nello specchio alle spalle del barista. Il viso era rilassato, nessun segno di quello che avevo vissuto in questi due anni, le occhiaie profonde erano svanite, barba e capelli erano curati, e riuscivo a sorridere senza sembrare una parodia di un gangster fallito. Ero diventato, forse ancor più delle altre volte, parte dell'illusione.


Arrivò lei e dopo un paio di cocktail ci ritirammo nel loggione. L'orchestra quella sera suonava un jazz in stile marcatamente jungle. Una cosa del Black Ice bisognava dirla: quel locale aveva ottimo gusto in termini di musica.


Coricati sui comodi cuscini parlammo a lungo, ma questa volta non feci domande, sapevo ormai tutto quello che c'era da sapere. Ci spogliammo piano, e facemmo l'amore. Tra le sue braccia avrei potuto morire, ed era esattamente quello che una parte di me aveva in mente. Era coricata su di me e mi baciava il petto, e per una frazione di secondo vidi un lampo di realtà... mi accarezzava leggera mentre i suoi denti sporchi di sangue affondavano dolcemente nella mia carne, e mi ricordo che pensai che non volevo che si fermasse, e la strinsi ancor più forte a me. Poi ad un certo punto si staccò, improvvisamente. In ginocchio di fronte a me, mi guardava triste con quegli occhi azzurri come il cielo d'estate. Mi sentivo totalmente svuotato, senza forze... cercavo di mettermi a sedere aiutandomi con le braccia, ma continuavano a cedere e tornavo a sprofondare tra i cuscini. Era arrivata quasi in fondo, ma aveva deciso di fermarsi. Mi aiutò ad alzarmi e a rivestirmi... era ancora nuda e splendida, con la luce calda delle lampade che bagnava la sua pelle e i suoi lunghi capelli.


Ci baciammo ancora una volta, un bacio dolce e straziante. "Ora devi andare, davvero... non puoi più restare." Lo disse con voce tremula, mentre mi stringeva le mani. A malincuore uscii nel corridoio, barcollante e insicuro, e scesi nel salone principale.


Arrancai fino all'uscita del locale, la vista mi si stava offuscando sempre più e quasi non vedevo dove andavo. "Sta bene signore?" Chiese il pinguino, premuroso, con solo una impercettibile sfumatura di ironia nella voce.


Raggiunsi la strada col suo lancinante ronzio di insetti elettrici e l'imbocco del vicolo, poi non ricordo altro.


Mi sono svegliato parecchie ore dopo, rannicchiato dietro un cespuglio, vicino all'ingresso del vicolo. Era giorno, e la via era trafficata e viva. Nessun ronzio. Ero indolenzito e a pezzi, ma quella dormita deve avermi rigenerato almeno abbastanza da permettermi di alzarmi e reggermi in piedi.


Il Black Ice se ne stava di fronte a me, un vecchio edificio sfitto con una enorme insegna nera logora e scolorita. La via si estendeva da nord a sud, e la potevo vedere finalmente nella sua interezza, non più inghiottita dal nero innaturale della notte. I passanti, le auto e gli edifici... qui era tutto normale. Era assurdo, ma doveva essere una di quelle zone miracolosamente non invase dalle deformanti allucinazioni del Black Ice.


E la cosa più incredibile era che finalmente avevo capito dove mi trovavo.. su quella strada ci sarò passato almeno una ventina di volte da quando abito in questa città, ma non avevo mai notato né quel palazzo né il vicolo. E' anche relativamente facile da raggiungere in auto, almeno di giorno... forse anche di notte,chi lo sa, ma bisogna riuscire ad attraversare indenni quel buio. In effetti non che il parcheggio del Black Ice fosse molto affollato. Pensavo a ruota libera a queste cose mentre tornavo a casa.


Una volta arrivato mi buttai ancora vestito sul letto e dormii per quasi 24 ore un sonno profondo e senza sogni. E' successo due giorni fa. Le energie poco a poco sono tornate, ma la città la fuori è sempre meno reale e sempre più un incubo buio e lucido, la testa mi fa un male cane e lo stomaco brucia a causa del cibo scadente e gli eccessi di gin. Non riesco quasi a guardarmi allo specchio, e non riesco a chiudere occhio senza pensare a lei, al profumo dei suoi capelli, al suono della sua voce, al calore della sua pelle.


Devo mettere fine a questa storia. Lo farò stanotte, non posso più aspettare.


Escludo di scrivere altre pagine di questo diario, che probabilmente verrà divorato dai topi della stanza di fianco non appena si accorgeranno che il loro vicino umano se ne è andato per non tornare più.


Vado.




L'articolo di giornale
Attorno alle 4 della scorsa notte, un boato ha squarciato l'aria della nostra città. Il vecchio Solomon Building è quasi interamente crollato a causa di una violentissima esplosione verificatasi alla sua base.


Il palazzo, sede di una delle principali società d'assicurazioni della città fino agli anni 40, era disabitato dal 1972, anno in cui bruciò lo storico jazz club "Black Ice", che occupava i primi quattro piani dello stabile.


Dai primi elementi raccolti, pare che un vecchio furgone carico di tritolo sia stato scagliato a folle velocità contro l'ingresso principale del vecchio palazzo. Tra le macerie non sono stati rinvenuti resti umani, il che lascia supporre che l'attentatore non si trovasse sul mezzo al momento dell'esplosione.


Le lamiere del furgone, dilaniate e deformate dal calore dell'esplosione, difficilmente potranno fornire ulteriori elementi per le indagini.


Tuttavia su una delle fiancate del mezzo sono stati segnalati strani e profondi tagli che presentavano evidenti tracce di materiale cheratinoso sui bordi frastagliati. Come un enorme "graffio".


Naturalmente gli inquirenti non ritengono questi particolari di alcun rilievo nell'ambito delle ricerche, e noi con loro. A nostro avviso ora la domanda da farsi è perché questo insensato gesto? il raptus di un folle o speculazione edilizia creativa?



Epilogo
L'uomo guardava il palazzo esplodere e crollare, lingue di fuoco schizzavano dalle finestre in frantumi e la grande insegna bruciava luminosa nella notte stellata.


L'uomo sorrideva, ma una lacrima gli scendeva sulla guancia scarna, riflettendo l'arancio e il giallo brillante delle fiamme. Pensava ad una persona che non vedrà più, e pensava ad un futuro da ricostruire da zero.


Poco distante da lui, mentre si avviava in direzione del porto, non vide una piccola barchetta di carta. Stava scivolando su un rivolo d'acqua verso un tombino, ma si incastrò contro un rametto, e fu salva.

6 commenti:

  1. E' valsa la pena aspettare che tu scrivessi di nuovo... questo racconto è semplicemente fantastico!

    baciotti al mio caro talentuoso Derek

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  2. :-) Curlyzina, ma l'hai già letto?!? Mi fa un piacere immenso che ti sia piaciuto... e aggiungo che anche questi baciotti non sono male sai? Adesso vado a nanna più contento :-)

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  3. Modo di trattarlo molto originale. Penso che proprio la tecnica sia la forza del racconto. Oltre al fatto che sia scritto bene, naturalmente. Ma la struttura fa la vera differenza.

    Complimenti davvero.

    ;-)

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  4. Grazie Nephie... ogni tuo commento è sempre graditissimo, e mi fa piacere che in questo caso sia positivo, davvero! :-)

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  5. Eh si, fu salva. Per questa volta...

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