venerdì 5 ottobre 2007

[Racconto] La fine

Credo che il mio equilibrio stia cominciando a vacillare...è tutto senza senso, non penso che riuscirò a reggere ancora molto a lungo.
Non senza acqua, per lo meno. E cibo.
Probabilmente in qualche modo potrei procurarmene, ma non ce la faccio, è troppo.
Mangiatele voi quelle cose.


Qui non ho fogli, ne matite... vorrei tanto poter scrivere, Dio quanto lo vorrei. Per raccontare.


Considerata la situazione, è un desiderio assolutamente senza senso. Chi potrebbe leggere quello che ho scritto? Forse quelle cose nere che mi spiano dalle finestre lontane e che talvolta vedo trascinarsi con quella loro andatura sghemba sulla spiaggia?


Mi chiedo se sono già impazzito... no, non può essere. Ricordo tutto, ogni istante, ogni dettaglio...


Era estate, Agosto... Rimini. Una di quelle notti che ti restano nel cuore per tutta la vita...
Deve essere passata una settimana da quel giorno, ma so che non può essere così.


Il giorno prima, durante una partitella a calcio con gli amici in spiaggia, mi ero preso una brutta stiratura. E così quel pomeriggio me ne stavo in disparte, coricato sulla sdraio bevendo una spremuta e ascoltando un po' di musica in cuffia.


Fingevo di guadare i miei amici giocare, ma in realtà non avevo occhi che per quella ragazza che faceva tifo per la squadra dei bagnini. Doveva essere del posto.


Elisa. Non sapevo ancora il suo nome. Lo scoprii qualche minuto dopo, quando prendendo il coraggio a due mani mi avvicinai a lei per offrirle un gelato che avevo appena preso per lei al chiosco. Forse un fiore sarebbe stato più indicato ma di fioristi nei paraggi neanche l'ombra. Così ci conoscemmo.


Sorrido mentre penso alla scena. E' la prima volta da parecchi giorni.


Probabilmente fu perchè ero in vacanza, e si sa, in vacanza si è tutti un po' diversi, ma nonostante mi sudassero le mani e la voce fosse tuttaltro che sicura, decisi di invitarla a cena. Era visibilmente in imbarazzo, il più dolce imbarazzo che mi sia capitato di vedere.. ma accettò.

Cenammo in un ristorante che aveva una terrazza che dava sul mare. Parlammo di noi, delle nostre vite, dei nostri progetti per il futuro... e so che non è possibile, che niente può succedere così rapidamente, ma perso nei suoi occhi, nel suono della sua voce, nelle movenze delle sue mani, ugalmente mi innamorai di lei.


Quando uscimmo dal ristorante eravamo mano nella mano, imbarazzati ma contenti come ragazzini al primo appuntamento. Decidemmo di "prendere in prestito" (mi ricordo, disse esattamente così) uno dei pedalò che si trovavano sul bagnasciuga per farci un giretto nel mare calmo di quella sera. E poi eravamo nel periodo più romantico dell'estate, il cielo sarebbe stato uno spettacolo di stelle cadenti per tutta la notte, non potevamo non farlo!


Ci avventurammo in quelle acque nere, lasciandoci alle spalle le luci del lungomare e dei locali, il rombo delle auto che sfrecciavano sulla strada e le urla dei ragazzini provenienti dal luna-park. Quei suoni rieccheggiano ancora nelle mie orecchie.. inconsciamente qualcosa dentro me si aggrappa a loro come se fossero uno degli ultimi appigli prima di perdere la ragione. Definitivamente.


Mi ricordo che ci avvicinammo agli scogli, volevamo salire su quelle rocce per goderci lo spettacolo del mare aperto inondato dalla luce della luna. Ridendo come pazzi lottammo per riuscire a legare un capo della corda agli scogli e l'altro al gancio in plastica del pedalò. Dopo alcuni minuti e parecchi scivoloni ci riuscimmo, miracolosamente senza cadere in mare nemmeno una volta!


La vista di quella misteriosa e romantica distesa d'acqua era qualcosa di spettacolare, ed ero felice di avere lei al mio fianco per condividere quel momento.
Ci sedemmo, gli occhi al cielo per cercare quegli astri cadenti che hanno ispirato tanti poeti, cantautori e innamorati.


Eravamo lontani solo poche centinaia di metri dalla costa, ma i rumori della civiltà già si perdevano nel sommesso brontolio delle onde che si infrangevano contro gli scogli, e la sensazione di essere soli di fronte a questa natura così maestosa e apparentemente quieta era qualcosa di quasi tangibile.


Era al mio fianco, e guardava sorridendo l'orizzonte infinito di quel mare senza fine.


E anche se può sembrare assurdo, in qualche modo sentii che dovevo proteggerla da una cosa così grande, come per paura che potesse prenderla, schiacciarla... pensieri folli allora, ma pensandoci ora forse neanche troppo.


L'abbracciai, e in un momento le nostre labbra si sfiorarono, dolcemente... la sua pelle calda, il suo profumo, le sue mani che accarezzavano il mio viso... mi tolsi il maglione e lo adagiai dietro di lei per permetterle di coricarsi.


Mi ricordo che ridemmo della situazione bizzarra nella quale ci eravamo cacciati, due pazzi costretti ad amarsi su poco più di un metro quadrato di roccia fredda... fu una notte indimenticabile. Ci coricammo l'uno fianco all'altra, abbracciati per non sentire il freddo. So che ci addormentammo, e che l'ultima cosa che le sentii dire, col sorriso sulle labbra e la voce di chi è già quasi nel mondo dei sogni, fu "sai? credo di essermi innamorata..."


Mi svegliai di soprassalto. Infreddolito e con i muscoli delle gambe e delle braccia che quasi urlavano di dolore. Ancora frastornato, faticai a mettere a fuoco... dove mi trovavo, quanto avevo dormito... e perchè quel senso di nausea? La testa mi pulsava in modo impressionante. Gemendo per il dolore mi rizzai in piedi e iniziai a ricordare. Elisa. Doveva essersene andata. Guardai verso la costa...ma non vidi nulla. Solo una densa coltre di nebbia grigiastra che copriva tutto. Nessuno suono. Tranne quello delle onde.


Ai miei piedi vidi uno straccio che faticai a riconoscere come il mio maglione. Non poteva essere, l'avevo comprato la settimana prima in quel nuovo negozio in centro. Quello che avevo davanti a me sembrava vecchio di centinaia d'anni. Ma era lui, ed era nella stessa posizione in cui l'avevo lasciato la notte prima, quando...


Dovevo andare a cercare Elisa, subito. Avevo un cattivo presentimento, e pensando a lei in pericolo mi venne una stretta allo stomaco talmente forte da farmi quasi cadere sulle ginocchia. Mi sentivo debole. Mi voltai a cercare il pedalò, ma non lo trovai. C'era un mozzicone di corda, o quella che secoli prima avrebbe dovuto essere una corda, attaccato ad una delle rocce. Alzai lo sguardo e a una ventina di metri davanti a me, prima della coltre di nebbia, vidi qualcosa spuntare dall'acqua. Riconobbi il relitto del pedalò, ricoperto in gran parte da strane e grasse alghe. Non aveva senso, alcun senso.


La costa non era molto distante, avrei fatto il tragitto a nuoto.


Mi avvicinai all'acqua pronto a tuffarmi ma subito mi ritrassi urlando, inorridito.
Aggrappata allo scoglio sotto di me con orribili tentacoli rosei, stava una creatura dall'aspetto disgustoso.


Il corpo ricordava vagamente quello di una razza, ma gli occhi neri erano frontali, molto ravvicinati. Era dello stesso ripugnante colore rosa dei tentacoli, fatta eccezione per striature più scure che si facevano più evidenti nella zona della coda. Mi osservava. I tentacoli si muovevano lentamente, scivolando sulle rocce.


A poco a poco iniziai a tornare in me, e guardando meglio mi accorsi che l'essere non era solo. Nell'acqua vicina agli scogli altre creature simili si muovevano lentamente, scivolando appena sotto la superficie. Era una visione angosciante. Per uno strano cortocircuito il mio cervello volò a quelle tavole illustrate che guardavo da piccolo, che raffiguravano i mari preistorici e tutte quelle affascinanti creature dalle forme bizzarre. Adoravo quelle tavole.


Mi allontanai dal limitare degli scogli, ancora tremante, e iniziai a scrutare l'orizzonte grigio attorno a me. Urlai a squarciagola, in cerca di aiuto, con una voce che non sembrava quasi appartenermi, non più del vecchio maglione che giaceva ai miei piedi.
Naturalmente non ricevetti alcuna risposta. In questo dannato posto nessuno ti risponde. E quel poco di lucidità che mi è ora rimasta mi dice che forse è meglio così.


In ginocchio, con la testa tra le mani, implorai Dio che questo incubo finisse.


Poi, stremato dagli sforzi e dalla tensione, svenni. Quando ripresi i sensi mi accorsi che la nebbia era quasi sparita. Anche lo strano essere rosa era scomparso.


Rividi per la prima volta la costa.


Ogni cosa era al suo posto. Il chiosco, gli alberghi, la ruota del luna park... ma era tutto tremendamente morto, alterato, fatiscente, alieno. Le finestre dell'hotel stella (l'insegna era ancora parzialmente leggibile) mi fissavano indifferenti come orbite vuote. Il legno era marcito ed erano rimasti solo due scuri sghembi a ricordare che una volta quella facciata era bagnata dalla luce del sole.


Le piante, credo tigli, che fiancheggiavano la strada c'erano ancora, ma erano contorte, avvitate innaturalmente su loro stesse. Grigie. Anche i rami erano strani, ricordavano tanti serpenti dalla lunghezza e proporzioni abnormi.
La spiaggia era deserta. I resti delle sdraio e degli ombrelloni spuntavano dalla sabbia come dita scheletriche rivolte al cielo. Quel cielo plumbeo, perennemente coperto, che è impossibile non odiare.


Mi è parso di vedere qualche volta un'accenno di sole materializzarsi attraverso coltre di nuvole, ma non ne sono certo. Poteva trattarsi di un'allucinazione.


Mi sono detto più volte che anche tutto questo potrebbe essere una allucinazione, cercando di convincermene... Ma i morsi della sete e della fame, il dolore alle articolazioni, il freddo, la più di tutto la nausea dovuta all'aria putrida e salmastra che impesta questo luogo.. sono tutte sensazioni troppo reali.


Le cose nere non le notai subito. Forse arrivarono dopo, incuriosite dallo spettacolo dell'essere sbraitante e saltellante che stava sullo scoglio. Sulle prime le scambiai per esseri umani, urlai fino a perdere la voce, agitando le mani, correndo avanti e indietro su quell'accozzaglia di rocce brune.


Ma di umano non avevano nulla. Naturalmente. Le ho osservate con attenzione...alte forse quasi un paio di metri, si muovevano lentamente spostandosi sui 2 arti inferiori. Il corpo tozzo, ingobbito, ricordava vagamente quello di un grosso corvo con le ali racchiuse e la testa reclinata in avanti, ma senza becco
Quando mi accorsi di loro, ce n'erano due sulla spiaggia. Mi scrutavano, curiose, totalmente immobili. Poi se ne andarono, con quella loro camminata sbilenca e stanca.
Ne arrivarono altre, quasi sempre in coppia, talvolta sole, mai più di due alla volta comunque. Alcuni di esse mi osservavano dalle finestre dell'hotel, altre erano nascoste tra i cespugli di quello che una volta era i parco giochi dei bimbi. Una volta.


Gli assurdi esseri rosa vengono a visitarmi un paio di volte al giorno. Non sembrano pericolosi. Forse sono commestibili, è possibile, ma qualcosa nei recessi della mia mente mi impedisce anche solo di avvicinarmi da quelle creature abominevoli.
Quel loro sguardo nero, ottuso, e tuttavia indagatore, mi mette a disagio, e me ne rende quasi insopportabile la vista.
Poco lontano dagli scogli, verso la riva, ho visto esseri serpentiformi lunghi forse una decina di metri, dal colore biancastro, la bocca enorme rispetto alle proporzioni del corpo. Probabilmente predatori.
Non raggiungerei mai la riva. E se anche riuscissi a farcela, mi troverei poi faccia a faccia con le cose nere...


Giorni e notti si susseguono senza pietà. Dormo praticamente sempre, coricato su questa lastra di pietra gelida. Ad ogni risveglio la speranza che si sia trattato di un semplice incubo svanisce nella frazione di un secondo, riportandomi a quella disperazione che mi sta letteralmente sgretolando l'anima.


L'unica certezza che ho è che non potrò resistere a lungo.
Ho spesso rimuginato su come avrebbe potuto essere la fine dei miei giorni.


Ci credereste che non ho mai pensato che la mia vita potesse finire così?

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